mercoledì 29 ottobre 2014

Il Centro di smistamento profughi istriani di Udine, 1945-1960

1. Sono 100 mila gli esuli passati per il Campo di via Pradamano a Udine

Dopo il giorno 8 settembre 1943, data della comunicazione dell’armistizio tra gli alleati angloamericani e il governo italiano di Badoglio, inizia l’esodo di italiani dalla Dalmazia, da Fiume e dall’Istria. Fuggono per evitare le violenze degli iugoslavi, spinti dal sentimento di vendetta per le atrocità patite nella guerra fascista e per la pulizia etnica voluta da Tito. Gli storici scrivono che l’esodo termina nel 1956, ma io ho raccolto testimonianze di fughe dall’Istria avvenute nel 1963, come nel caso di Pietro Palazziol (1), di Valle d’Istria, scappato di notte con altri ragazzi, correndo gravi rischi, infatti, morì un suo amico falciato da una raffica di mitragliatrice “perché i Graniciari meteva le trappole con filo lezero; ti te tiravi per sbaglio el filo, alora scopiava un bengala, che faceva luce e i slavi i te tirava contro coi mitra”. I Graniciari erano guardie confinarie iugoslave, di etnia bosniaca o serba, per evitare che si lasciassero intenerire dagli italiani dell’Istria in fuga. 

Un B 17 degli Stati Uniti d'America; è un tipo d'aereo che partecipò ai 54 bombardamenti su Zara, 1943-1944. 
(N.B.: clicca sulle immagini per ingrandirle).

C’è chi dice che a Udine i Campi Profughi per gli istriani, fiumani e dalmati dell’esodo siano stati addirittura quattro. Furono chiamati Centro Raccolta Profughi (CRP) o, più semplicemente Campo Profughi. Certo è che ci furono più spazi di accoglienza organizzati dalla prefettura locale. I primi fuggitivi da Zara e dalla Dalmazia, nel 1943, vennero accolti  nel capoluogo friulano da parenti e c’è chi passò qualche giorno in albergo, a proprie spese. È il caso dei fratelli Bugatto Giuseppe e Rita (2), scappati da Zara, nel Natale 1943. L’ospitalità presso i parenti friulani toccò pure a Roberto Paolini: “Se semo imbarcadi su la nave a Zara e gavevimo paura de un affondamento dei tedeschi, mio papà jera de la Forestale e se gà tirado via i stivai, così te pol nodar e salvarte, se i ne afonda i tedeschi”.



Certificato di nascita di Roberto Paolini, Comune di Zara, 1938 e una fotografia di Roberto Paolini nel 2010 (Collezione famiglia Paolini, Udine).




Il 3 settembre 1945 monsignore Giuseppe Nogara, arcivescovo di Udine, nominò in qualità di presidente della Pontificia Commissione Assistenza, sezione di Udine, don Abramo Freschi (3). Dagli atti e comunicazioni arcivescovili (4) del 1946, si sa che il sostegno ai profughi giuliano dalmati è di competenza della Pontificia Commissione Assistenza.

Donne in un Campo Profughi con letti a castello. Viste le pareti ondulate metalliche, dovrebbe trattarsi del Villaggio Metallico di Udine, 1947-1960. Vedi altre immagini più sotto. 

I Centri di Raccolta Profughi sono chiamati dalla gente: “ Campo Profughi”. Forse perché i rifugiati vengono accolti negli stessi spazi dove prima c’erano i militari italiani o gli ebrei, concentrati lì dai nazisti, in attesa della deportazione nei Campi di concentramento o di sterminio in Germania, dopo l’8 settembre 1943. Erano vecchie caserme, scuole bombardate o altri edifici di grosse dimensioni, pur fatiscenti, per contenere il maggior numero possibile di prigionieri. In effetti alcuni reclusi dovevano adattarsi a stare nelle tende, che erano state aggiunte alle strutture murarie, quando queste avevano i posti esauriti.
Bisogna dire che sin dal 1941, quando l’Italia fascista invade la Jugoslavia ed annette alcune parti del suo territorio, come la provincia di Lubiana o il Governatorato della Dalmazia, viene organizzata dall’esercito italiano l’operazione di concentramento di militari e civili iugoslavi, per sottrarli alla nascente resistenza contro gli invasori. I primi campi attivi in Friuli e nella Venezia Giulia furono quelli di Cighino e di Gonars. Il primo era sito vicino a Tolmino, mentre il secondo era a sud di Udine. Nel 1942 a Gonars c’erano oltre 4.200 internati civili, bambini inclusi.
Cavalleggeri di Alessandria in zona di operazioni nell'interno della Croazia, 1941-1943. Collezione Giulio Orgnani, Udine

Nel 1941 fu costruito dagli italiani a Palazzolo dello Stella, in provincia di Udine, il Campo delle Valderie, per gli internati militari sloveni e croati. Al 31 marzo 1943 risultano reclusi 185 ufficiali e 4305 soldati iugoslavi. Dal mese di maggio 1945 a Palazzolo dello Stella furono reclusi dai partigiani alcuni prigionieri fascisti. Angelo Meda è un maggiore milanese “del disciolto esercito repubblichino” che scrisse a monsignore Nogara, arcivescovo di Udine, nel mese di giugno 1945. Egli precisa di essere stato arrestato il 10 maggio 1945, con l’imputazione di aver appartenuto alla Repubblica di Salò. Operava a Gorizia, dove aveva il “comando del Gruppo Carabinieri del 4° Regg. Milizia O.T.”. Nella missiva c’è la descrizione delle pessime condizioni di vita nel campo di Palazzolo dello Stella. Si ritrovava in cella con giovani ed anziani, con scabbia imperante, senza medici, né cure, minacciati di “decimazione” per ogni sciocchezza dalle “guardie di partito”. Si sa, infine, che il maggiore Meda fece domanda di  arruolamento volontario nell’esercito coloniale inglese (5). Questi campi sì, erano dotati di tende, perché le baracche non erano sufficienti a contenere i reclusi. In seguito l’appellativo passò ad ogni tipologia restrittiva degli apparati di stato.

Biografia di monsignore Abramo Freschi

Nato a Pagnacco il giorno 8 giugno 1913, studia al Seminario arcivescovile di Udine. È ordinato sacerdote nel 1937 e fa il cooperatore in una parrocchia della periferia di Udine. Dal 3 settembre 1945 è presidente della Pontificia Commissione Assistenza. È anche alla guida dell’Ente Comunale di Assistenza fino alla fine degli anni Cinquanta. Nominato monsignore nel 1951, si occupa sempre dei profughi istriani. Nel 1953 si laurea in Diritto canonico al Pontificio Ateneo Lateranense. Dal 1963 è presidente della Pontificia Opera di Assistenza (POA). Importanti per lui sono le imprese delle colonie di Lignano, di Piani di Luzza e Tarvisio, che furono non solo riedificate, ma aggiornate sul piano formativo e che arrivarono a ospitare dodicimila ragazzi ogni estate. Dal 1956 al 1966 si occupa del Centro educativo di Cividale che trasforma da istituto per orfani a moderna scuola di formazione professionale. Nel 1970 è vescovo coadiutore di Concordia (Pordenone). Nel 1976 si occupa dei terremotati. Vicepresidente per l'Europa della Charitas internationalis, regge la diocesi di Concordia dal 1977 al 1988. Premio San Marco nel 1991, muore all’ospedale di Pordenone il 10 febbraio 1996. 

Il Centro di Smistamento Profughi di Udine, copertina del volume del 2015, pubblicato dall'Istituto Stringher di Udine. Fotografia per gentile concessione di: Enrico Miletto, Carlo Pischedda, L'Esodo istriano-fiumano-dalmata in Piemonte. Per un archivio della memoria, Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti”, Torino 
(on-line dal 2009)
A questo punto devo chiarire una scelta precisa, per comunicare al lettore quali siano gli assiomi entro i quali ci stiamo muovendo. Nel 1925 Walter Benjamin ne Il dramma del barocco tedesco (6)  ha scritto che: “Le grandi articolazioni che determinano non solo i sistemi ma anche la terminologia filosofica – la logica, l’etica, l’estetica – hanno un significato non come nomi di discipline specialistiche, ma in quanto monumenti della struttura discontinua del mondo ideale”.
Ebbene, quali sono allora i monumenti del contributo presente? La sfera culturale entro cui s’intende operare non può trascurare i riferimenti letterari ad alcuni romanzieri, che qui si accennano per l’alto significato etico, che sprigiona da certe loro opere. Hanno essi descritto i contrasti tra italiani e iugoslavi, con l’annessa questione delle foibe. Tali autori hanno trattato dell’esodo, della fuga dalle terre istriane, fiumane, dalmate e alto isontine, in seguito alla Seconda guerra mondiale. Hanno presentato la tematica dei profughi con uno spirito particolare. Il periodo trattato è denso di avvenimenti a livello europeo e di conflitti scatenati, guerra fredda inclusa. È un periodo che va dalla rivoluzione russa, del 1917, alla caduta del Muro di Berlino, avvenuta nel 1989, definito come il “secolo breve”, secondo lo storico Eric Hobsbawm. Si tratta, almeno, di cinque grandi autori italiani, come Fulvio Tomizza con La miglior vita, pubblicato nel 1977, Marisa Madieri con Verde acqua (1987), Carlo Sgorlon, con il suo Foiba grande (1992), Enzo Bettiza con Esilio (1996) e Claudio Magris con Microcosmi (1997) e con Alla cieca (2005).

 Annessioni iugoslave del 1945 (in rosso)

2.    Le prime ondate di profughi a Udine

La prima forma di accoglienza riservata agli esuli italiani dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia dalle competenti autorità di Udine, dal 9 maggio 1945 al 1947, fu allestita presso la vecchia scuola “Dante Alighieri” di via Gorizia, più precisamente in via Monte Sei Busi, nelle vicinanze di un vecchio camposanto, nella zona a nordest della città (7). Questa area venne definita come Centro di Raccolta Profughi di via Gorizia; la struttura era al comando del tenete Previato. Erano pochi spazi in stanze diroccate e riattate alla meglio.
In una lettera, del mese di maggio 1945, di don Abramo Freschi a monsignore Giuseppe Nogara, arcivescovo di Udine, è scritto che i rimpatriati furono sistemati al cinema Rex, all’ex- GIL maschile (di via Pradamano) e in quella femminile (di via Asquini), oltre che nei collegi Toppo, Tomadini, Renati e Paolini (situati in varie parti della città). Per una notte fu utilizzato anche al Tempio Ossario nella cui cripta vennero accolti esuli sino al 1959, quando non c’era più spazio nel Campo Profughi.
Un’esule da Pola, Maria Millia (8), ha ricordato che, verso il 1949, i suoi genitori Anna Sciolis e Domenico Millia, rinomato fabbro di Rovigno, assieme ad altri profughi istriani furono ospitati nel Tempio Ossario di Udine, dato che “El Campo jera pien”. Nel 1959, appunto, erano ancora accolte alcune persone dell’esodo nella stessa chiesa. “Una famiglia è ospitata nella cripta del Tempio Ossario – riporta L’Arena di Pola del 28 aprile 1959 – chi all’asilo notturno e altri nelle case diroccate di Via Bertaldia, ora demolite”. Si pensi alla coincidenza: proprio nell’area di Via Bertaldia, Via Manzini fu inaugurato, il 26 giugno 2010, il Parco Vittime delle foibe.

 Udine, 25.06.2010 - Via Manzini angolo Via Bertaldia (Borgo Aquileia). Autorità all’inaugurazione del Monumento alle Vittime delle Foibe con l’ingegnere Silvio Cattalini, presidente del Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (Anvgd). Fotografie dell’architetto Claudio Bugatto (Udine), di origine zaratina.

Udine, Parco Vittime delle foibe (area di Via Bertaldia), il sindaco Furio Honsell e un emozionato Silvio Cattalini (ANVGD di Udine) allo scoprimento del cippo con targa in ricordo delle Vittime delle foibe il 26 giugno 2010.

La signora Rosalba Meneghini Capoluongo è figlia di Maria Millia, esule di Rovigno. “Mia madre parlava poco, aveva paura – ha detto – invece dopo il Giorno del Ricordo, c’è la voglia di capire da parte dei discendenti. I profughi raccontano e si ascoltano cose mai sentite fino ad ora”.
È assai ricorrente il tema del silenzio dei profughi, ossia la mancata comunicazione ai discendenti sui fatti storici dell’esodo dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia. “Noi istriani abbiamo un grande affetto per il nostro territorio – ha detto una intervistata, con parenti a Dignano d’Istria (9)  – ma ne parliamo poco, c’è tanta dignità e silenzio, preferiamo il duro lavoro e stare zitti”.
Roberto De Bernardis, esule da Pola (10), ha riferito su un quotidiano di Trento dell’assoluto silenzio mantenuto da sua madre dopo l’esodo, avvenuto nel 1952. “Poi guardò solo avanti – ha scritto – non sarebbe più tornata, non ne avrebbe più parlato: un silenzio durato sino alla sua morte, nel 1999”. Certi esuli hanno rielaborato il dolore dell’esilio in solitudine.
Per i primi profughi a Udine, nel 1945, venivano preparati circa duemila pasti al giorno. Il maggiore Henry Hudson, comandante americano dei Campi Profughi, ebbe modo di elogiare l’organizzazione del Campo Profughi di via Gorizia, nelle vecchie scuole.

Tessera del Comitato Nazionale per la Venezia Giulia e Zara, firmata dall’architetto Carlo Conighi, presidente della sede provinciale di Udine, 1948-1952 (Collezione Conighi, Ferrara).

3. Il Villaggio Metallico a Udine

Nelle vicinanze di via Gorizia c’era un grande acquartieramento di truppe inglesi distribuito in una quarantina di prefabbricati metallici, tipo bidonville, con tetto semicircolare; il campo era presidiato da alte torri di guardia. Le piste di volo per gli avieri inglesi, presenti contro un’eventuale invasione iugoslava titina, erano a Campoformido e a Lavariano di Mortegliano, dove nel 1944-1945, i giovani locali furono precettati a lavorare per la Organizzazione Todt, dei nazisti.
Quando gli inglesi lasciarono Udine, nel 1946-1947, quegli spazi, divenuti di proprietà dell’esercito italiano (caserma Spaccamela), dopo regolare richiesta, furono occupati dagli istriani e da altri sfollati. Fu subito chiamato il Villaggio Metallico, o dagli istriani “el Vilagjo de Fero”, per le baracche zincate. Le belle fotografie del Villaggio Metallico, opera di Tino da Udine, alias Costantino Procaccioli (1927-1996), sono diventate l’icona del profugo istriano. Pittori del neorealismo friulano, come Dora Bassi (1921-2007), hanno immortalato su tela le immagini di quelle baracche, rabberciate dagli uomini dell’esodo alla meglio, con qualche tavola di legno trovata chissà dove. Altra icona del periodo della guerra e della Ricostruzione è senz’altro la bicicletta.

Udine, Villaggio Metallico, Via Monte Sei Busi, 1952. La Cjesa del Vilagjo de Fero. Da sinistra: Maria Osso, Maria Cerri, Ugo Cerri, Pietro Buttignoni (l'artigliere), Onorina Mattini, Bruno Mambelli, Angelo Totaro (bambino) figlio di Uliana Buttignoni e Maria Buttignoni. Collezione famiglia Mattini, Udine.
Udine - La strada dove c'era il Villaggio Metallico. Di fronte al cartello c'è il Cimitero di Paderno. A sinistra oggi si trova un Campo Rom con varie roulotte. Fotografia di Elio Varutti, 2016.

I cosacchi, alleati dei nazisti, nel 1944-1945 cercavano partizani, armi e biciclette. Tale mezzo di locomozione, infatti, è divenuto quasi il simbolo della possibilità di mandare dei messaggi da parte della Resistenza, con le staffette. C’è un decreto delle autorità naziste dell’epoca per requisirle tutte. Perfino Afro Basaldella (1912-1976) ne ha dipinte numerose nella sua Mappa della Resistenza in Friuli, del 1948 (Casa Cavazzini, Museo d’arte moderna e contemporanea, Udine, tempera su faesite, cm 202 x 302). La bicicletta di quel periodo fu immortalata, tra l’altro, pure in una poesia da Riccardo Castellani, col titolo “La bici dal sfolat (Ultin unvier di uèra) / La bicicletta dello sfollato (Ultimo inverno di guerra)”. Anche il Villaggio Metallico era pieno di biciclette. 

Dal 1947 al 1960 il complesso edilizio ex GIL di Via Pradamano a Udine ha ospitato il più grosso Centro di Smistamento Profughi giuliani e dalmati del suolo italiano. Foto Tino da Udine, 2 marzo 1958, tratta da: «Friuli nel  Mondo», giugno 2010,  n. 668, anno 58.

È la seconda localizzazione di un sito per profughi a Udine. Oggi ci sono le roulotte degli zingari. A scuola avevano una scodella di latte caldo, a ricreazione, i figli dei profughi. C’erano poi dei piccoli aiuti da parte dei compagni di classe. Definiti come “sussidiati”, essi ricevevano penna, pennino e carta, come ha ricordato Vittorio Zannier, figlio di Santina Pielich, originaria di Fiume e di Pietro Carlo Zannier, un sopravvissuto al campo di sterminio nazista di Dachau. La famiglia Zannier visse al Villaggio Metallico fino al 1956, quando per traslocare “fu sufficiente un motocarro Ape, da così poche cose che avevamo”. Vittorio Zannier si sente friulano, essendo nato a Udine nel 1951 e parla in marilenghe. “Tai pîts o vevi i çucui fats cu la gome dai budiei de biciclete cjatâts te Tor – ha raccontato Vittorio Zannier – e si lave a scuele a pîts cui fîs dal maresiâl, si jentrave tun negozi par cjoli merendinis, ‘e paie la mame’, e disevin i fîs dal maresiâl e alore jo o ai fat come lôr, dopo però me mari mi à dât un tango, che mi lu visi ancjemò” (Ai piedi avevo gli zoccoli fatti con la gomma delle vecchie camere d’aria gettate nel Torre, e si andava a scuola a piedi con i figli del maresciallo, si entrava in un negozio per prendere le merendine, ‘paga  la mamma’, dicevano i figli del maresciallo e allora ho fatto come loro, dopo però mia mamma mi ha punito, che me lo ricordo ancora oggi). Altri ricordi di aiuti ricevuti? “Pe prime Comunion no vevi il vistît – ha concluso Vittorio Zannier – e pre Battigelli, plevan di Sant Gotart, al à paiât lui il vistît par me, li dai Combattenti, in place dai grans e, di frutin, o ai stât tal asîl de Cjase dal Frut di Via Diaz” (Per la prima Comunione non avevo il vestito e don Battigelli, il parroco di San Gottardo, ha pagato il vestito per me, nel negozio Ai Combattenti, in piazza dei Grani – piazza XX Settembre – e da bambino sono stato all’asilo della Casa dell’Infanzia di Via Diaz).
Nel 1947 è ricordata un’altra bidonville per i profughi istriani nella frazione di S. Gottardo, nella periferia est della città (11). Il Villaggio istriano di S. Gottardo è il terzo sito stabile individuato nel capoluogo friulano.
Udine – Viale della Resistenza. Foto in alto. Secondo certe fonti orali sorgeva qui un piccolo Villaggio di prefabbricati metallici per i profughi giuliano dalmati, come quelli del Villaggio Metallico di Via Monte Sei Busi, area di Via Gorizia. Qui siamo al “Capolinea Resistenza” della linea urbana di autobus n. 4, in fondo a Via Cividale, all’altezza del civico numero 734, dove si innesta, uscendo dalla città, a sinistra, il Viale della Resistenza. L’area verde lì accanto è intitolata a Giacomo Pellegrini. Viene ricordato come “il Villaggio istriano di San Gottardo”.

Udine – Viale della Resistenza (foto sotto). Al posto delle case a schiera, dopo il 1945, qui sorgeva “il Villaggio istriano di San Gottardo”, fino agli anni 1951-1955, quando i profughi giuliano dalmati ebbero le case in Via Fruch, oppure al Villaggio Giuliano di Via Casarsa, lungo Viale Venezia. 
Fotografie di Elio Varutti 2015

4.    Il Centro di Smistamento di via Pradamano a Udine

Il quarto luogo di accoglienza è senz’altro il Centro di Smistamento Profughi di via Pradamano, che operò dal 1947 al 1960, nella parte meridionale del capoluogo friulano.
Certi profughi istriani e dalmati, come lo zaratino Bruno Perissutti, a Udine in Via delle Fornaci, erano vicini di casa della mia famiglia. Lì appresso, negli edifici della ex Gioventù Italiana Littorio (GIL) di Via Pradamano, fu attivo il più importante Centro di Smistamento Profughi (CSP). Accolse oltre centomila profughi istriani, giuliani, fiumani e dalmati, secondo i dati del Ministero dell’Interno e dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine. Si tratta di un terzo dell’esodo. Sono cifre assai elevate.

Il Centro di Smistamento Profughi di Via Pradamano a Udine, 1955 (Fototeca dei Civici Musei di Udine)


Dal signor Remo Leonarduzzi (12), che ne fu il custode dal 1953, si sa che “raggiunse fino a duemila presenze giornaliere”. Meglio conosciuto come complesso ex GIL, è stato il più grosso Centro Smistamento Profughi d’Italia, secondo Silvio Cattalini (13), presidente del Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD).
Progettato nel 1934 dall’architetto Ermes Midena (1885-1972), il complesso era un Collegio Convitto della Opera Nazionale Balilla (ONB), poi divenne di proprietà alla GIL. Con le pitture murali di Afro Basaldella nel 1936, fu caserma tedesca (1944-1945) e inglese (1945-1946). Come già detto di qui passarono più di centomila giuliani, istriani e dalmati, ma anche balcanici in fuga dal comunismo iugoslavo. Qui trovarono un primo alloggio e un po’ di solidarietà prima di proseguire verso altre mete, nazionali ed estere. L’Italia allestì 140 campi profughi attivi fino alla consegna delle abitazioni per gli esuli (14).
Certo il Campo di via Pradamano, gestito dal Ministero degli Interni, non era un albergo a cinque stelle. Grandi camerate divise da separé con coperte, letti a castello, la cucina affidata alle volonterose cuoche istriane, le famiglie si arrangiavano come potevano. Gli stessi profughi si occupavano delle varie corvées. Oltre alla direzione, al corpo di guardia, c’erano anche un medico, l’infermeria e la messa la domenica; vi partecipava anche la gente del quartiere, dato che la chiesa di San Pio X non esisteva ancora e la parrocchia sorse nel 1958, staccandosi da quella della Beata Vergine del Carmine.
Nel 1957 fece la sua comparsa in Campo persino il primo televisore! Un’esperienza, insomma, che non ha lasciato solo brutti ricordi, anzi: come ha detto Eleonora, un’anziana ex ospite: “Gavemo passà ben!”. È stata la signora Cristina Dilena a riferirmi l’aneddoto del televisore, con qualche sorriso. “Abitavo vicino al Campo Profughi – ha raccontato – e, verso il 1957, sono venuti a cercarmi dei bambini profughi per giocare con me, la mia famiglia non era di profughi, e hanno detto se potevo andare a vedere televizija in campo”.

Coro del Centro di Smistamento Profughi di Udine, 1959 
(Archivio Parrocchia di S. Pio X, Udine).

Ecco un’altra testimonianza sull’accoglienza a Udine: “Ero in camerata con altra famiglia e dei separé fatti con coperte. Si aveva letto a castello con branda vicino per tre di noi – ha ricordato la signora Albina Visintin – Per pulizie dei bagni si faceva noi donne a turno. Per mangiare c’era la mensa e le cuoche erano delle nostre parti. Era chiamato campo di smistamento. Era tutto pieno. Più di cento persone. Facevano indagine per sapere che gente se jera. Noi siamo venuti solo col lasciapassare e non siamo tornati. Siamo entrati in campo il 20 maggio del 1958 e il 20 luglio siamo usciti e semo andai in affitto nel Cormòr Basso [strada udinese vicino al Villaggio Giuliano]. I altri, dopo quattro mesi, i andava nei campi di Latina o Gaeta dove i stava sette anni e i aveva la cittadinanza italiana. So che al campo de Altamura [in provincia di Bari] la gente del posto, per dispetto, aveva avvelenato l’acqua”.
Udine, 26.05.1955 - La classe elementare della maestra Silva Biasioli Toffoletti, presso la scuola "Dante". Quanti profughi istriani si riconoscono in questa foto? L'immagine è stata ripresa dal gruppo di Facebook "Sei di Udine se" il 15.01.2016

I figli dei profughi dove andavano a scuola? Erano sparsi tra la scuola “IV Novembre” e la “Dante”, con le varie succursali, come quella di Via Melegnano, divenuta poi “Ada Negri”. Ecco il ricordo di Nino Almacolle: “Nel 1946 ero alla scuola IV Novembre e c’erano vari bambini profughi istriani e di Zara, poi le maestre ci portavano alla ex-GIL di via Asquini, dove stavano i soldati americani, che ci davano le prugne secche: dolci e buone. Tutto era buono perché c’era tanta fame!”.
Francesco Buliani ha detto che: “Nel 1956 andavo a scuola in via Melegnano, che era una succursale della “Dante”, in ogni classe avevamo due o tre figli di profughi giuliani, che stavano al Campo di via Pradamano. C’era il maestro Mario Quargnolo, che era bravissimo con loro. Prima di lui ho avuto la maestra Silva Biasioli Toffoletti. Poi, dopo circa tre mesi, sapevamo che certi bimbi profughi erano partiti, via Napoli, per l’Australia, per gli Stati Uniti d'America o il Canada”.

Un incredibile documento, datato 16 luglio 1946, della Camera Confederale del Lavoro di Pola esprimente "la volontà di esodo in Italia nel deprecato caso che la città venga ingiustamente assegnata alla Jugoslavia".     Collezione Sergio Satti, Udine

Ecco un altro ricordo, quello di Fulvia Zoratto: “Ero alla scuola elementare di via Melegnano nel 1957, avevo la maestra Misdariis, istriana che, per S. Lucia in accordo con i genitori, fece un regalo a tutti i bambini, un mandarino e una caramella, compresi i figli dei profughi, che erano senza possibilità economiche. Ciò al posto dei regali di S. Lucia dei bambini di Udine. Ci diceva che i bimbi istriani e le loro famiglie erano stati cacciati dalle loro case a causa della guerra. Era la prima volta che sentivamo la parola guerra”. 
Sul Campo profughi di via Pradamano, ecco la testimonianza (15) di Mario Visintin: “La mia famiglia ed io siamo arrivati al campo nell’autunno del 1958; c’erano già ospitate circa 200 persone alle quali era permesso il soggiorno per non più di tre mesi. Trascorso questo periodo venivano trasferiti nei campi di altre città come Massa Carrara, Cremona, Latina… in attesa di una definitiva sistemazione. Ogni stanza dell’edificio ospitava circa 15 persone, quindi più o meno quattro nuclei familiari diversi il cui spazio era delimitato da dei teloni”.
Il 10 dicembre 2007, nel 60° anniversario dell’apertura del CSP udinese, fu inaugurata una lapide con le autorità, come l’ingegnere Silvio Cattalini, per l’ANVGD. Poi intervennero il vice sindaco Vincenzo Martines, gli studenti e gli insegnanti della scuola media “Enrico Fermi”, accompagnati dal loro dirigente scolastico Stefano Stefanel e gli alpini dell’ANA. Il testo della lapide, in pietra bianca d’Aurisina, è il seguente:

IN QUESTI EDIFICI, DAL 1947 AL 1960,
FUNZIONÒ IL CENTRO DI SMISTAMENTO PROFUGHI,
OVE TRANSITARONO CIRCA CENTOMILA PERSONE
DELL’ISTRIA, DI FIUME E DELLA DALMAZIA.
IL CONSIGLIO DELLA 4.A CIRCOSCRIZIONE POSE
A PERENNE RICORDO DELLE GENTI DELL’ESODO.
UDINE, 10 DICEMBRE 2007

fotografia di Elio Varutti

Dopo il 2004, data della legge sull’istituzione del Giorno del Ricordo, le fonti orali hanno iniziato a riferire i disagi e le sofferenze patite per la contrastata accoglienza loro riservata dalla popolazione locale. Renata Trigari (16)  ha riferito la sua testimonianza di quando era bambina. “Siamo venuti via da Zara nel 1948 – ha detto – e ci siamo fermati tre giorni al CSP di Udine; la mia mamma, Lidya Livich, se la ricordò per un bel po’ la puzza di pipì del Campo Profughi”.

Udine, la scuola media “E. Fermi” di Via Pradamano. La struttura, costruita nel 1934-1936 su progetto di Ermes Midena, come Collegio Convitto Opera Nazionale Balilla, passò alla Gioventù Italiana Littorio (GIL). Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, gli allievi della scuola magistrale di educazione fisica furono trasferiti a Tarvisio. Nonostante i bombardamenti subiti, fu in seguito caserma per i tedeschi, nel 1943-1945 e, poi, per gli inglesi 1945-1946. Dal 1947 al 1960 ospitò il Centro di Smistamento Profughi di Udine, che accolse oltre centomila italiani in fuga dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia sotto la pressione iugoslava. Fotografia di Elio Varutti, 2014.

La testimonianza più autentica potrebbe sembrare quella del signor Leonardo Cesaratto, perché era l’impiegato del Campo Profughi. All’inizio dei nostri incontri per definire l’intervista, si dimostrò molto titubante: “Non voglio rogne! – continuava a ripetermi – Sa, ci sono sempre dei tizi che mandano lettere anonime e minacce contro gli esuli e contro chi parla a loro favore”. Poi si è aperto, capendo che i tempi stanno cambiando. Mi ha portato delle fotografie molto interessanti. Ogni pezzo di storia è di tutti gli italiani. È stato lui a raccontarmi che: “Quello di Via Gorizia era il primo Campo Profughi di Udine, parte era in una vecchia scuola in poche stanze e parte era in una bidonville, dove prima stavano i soldati inglesi; finché c’erano quattro o cinque rifugiati al giorno, lì andava bene, ma quando cominciarono ad arrivate 200 persone al dì, serviva il Campo di Via Pradamano, che era il Centro di Smistamento Profughi”.

Questo monumento è stato inaugurato il 10 febbraio 1990. Si trova a sinistra dell’ingresso principale del Cimitero monumentale di Udine, in Viale Firenze. In alto: la scultura dell’artista Nino Gortan, originario di Pinguente d’Istria. Durante le ricorrenze degli esuli, viene deposta una corona d’alloro. Su una lapide in pietra di Aurisina, l’altorilievo in bronzo di Gortan rappresenta due uomini agganciati per un braccio che cadono nel vuoto di una foiba. Nino Gortan (1931-2001), artista esule dall’Istria, aveva radici carniche ottocentesche a Luincis di Ovaro, provincia di Udine. Dopo l’esodo l’artista visse e lasciò varie opere a San Daniele del Friuli, in provincia di Udine.

Ricordo volentieri la signora Elvira Dudech, da Zara. Mi veniva spontaneo rivolgermi a lei, come a molti altri esuli, in dialetto veneto, avendo io avuto una nonna di origine veneziana. Nel 2004 mi raccontò che con la famiglia fuggì in nave fino ad Ancona, dove fu ospite del locale Campo Profughi. In seguito iniziò il suo calvario per i Campi Profughi italiani, a cominciare da quello di Laterina, in provincia di Arezzo, dove la trattennero per oltre quattro anni. A seguire, fu trasferita al Campo Profughi di Chiari, in provincia di Brescia e, infine, a Roma. Il Campo Profughi di Chiari è menzionato, in una videointervista, pure da Loretta Vuchic, nata a Zara nel 1943. Verso il 1955 la famiglia di Elvira Dudech trovò una casa a Udine; in quel periodo si recò in visita agli zii e ai cugini che stavano al Campo Profughi di Via Pradamano: “Go visto brande e mia cugina che dormiva in campo e a mangiar con noi in casa – ha raccontato la Dudech – jera fioi che i piangeva, i voleva la casa, le mame diceva: No gavemo più casa”. Nel 2007, dopo la pubblicazione del libro sul Campo Profughi, incontrai la signora Dudech nel quartiere o in parrocchia e continuava a riferirmi altri fatti dell’esodo. “Con ti posso parlar in dialeto – diceva – come coi zaratini e i veneziani”. E giù un’infilata di nomi, di strade di Zara ed aneddoti vari (17).
C’è chi, come riferisce Laura B.M., ricorda le “fatiscenti strutture del Campo profughi di via Pradamano nel 1947”. Poi ha aggiunto la signora B.M.: “Ho tantissimi amici che hanno avuto traversie molto tristi nel campo profughi, le ricordano ancora oggi con tristezza ed angoscia, per il dolore dell’esilio e per le umiliazioni sofferte dai propri cari”. Ci sono persone, come Dario Stritof, che essendo stato con la famiglia di Pola in quel CSP cerca di “ricostruire la storia del mio passaggio lì, a Udine, essendo venuto via con la famiglia nel 1952”. Pure Olivia Vesnaver, di Portole, mi ha chiesto notizie su tale struttura: “In quel Campo c’ero anch’io”.

Progetto delle abitazioni del Villaggio Giuliano di Via Cormor Alto - Via Casarsa a Udine. Studio di Roma, 27 agosto 1950. In alto: una prospettiva e, sotto: Prospetti. – Archivio del Comune di Udine. 

Dal 1952 esiste a Udine un insieme di quindici case a schiera, abitate da due famiglie ciascuna, chiamato dalla gente dell’esodo “Villaggio Giuliano”. Secondo Giuseppe Marsich, che ricorda di esservi andato ad abitare nel 1952, si tratta di costruzioni fatte con i finanziamenti dell’Unrra Casas. Il Villaggio si trova in un reticolo di strade tra Via Cormor Alto, Via Casarsa e Via Cordenons. Esso viene ricordato anche da Bruno De Faccio. Pure dai fratelli Mattini e dai fratelli Tancredi, tutti originari di Pinguente d’Istria. “Al Villaggio Giuliano jera tanti de Pinguente – hanno ricordato”.
Sopra: Domenico Mastroianni (Arpino, Frosinone 1876-Roma 1962), Madonna della Rinascita, bronzo, bassorilievo, Villaggio Giuliano, Udine. Sotto: Il Villaggio Giuliano di Via Cormòr Alto - Via Casarsa, 1950 (fotografie di Elio Varutti, 2013). 
Secondo Fulvio Molinari, l'Opera per l'assistenza ai profughi giuliani e dalmati fece costruire i "Villaggi Giuliani" in 42 città italiane, come: Alessandria, Ancona, Anzio, Bari, Bologna, Brindisi, Caserta, Catania, Cremona, Firenze, Genova, Gorizia, Latina, Livorno, Milano, Napoli, Palermo, Pisa, Roma, Reggio Calabria, Vicenza...(F. Molinari, Istria contesa. La guerra, le foibe, l'esodo, Milano, Mursia, 1996). In questo lungo elenco, mancano però: Udine e San Giorgio di Nogaro (UD). E chissà quante altre località.

Ad esempio le sorelle Egle e Odette Tomissich, nate a Fiume, ricordano il CSP di Udine, perché nelle camerate c’erano le brande e la corrente elettrica, che mancavano, invece nel 1948, al CRP del Silos a Trieste, dove i profughi dormivano sul pavimento. C’è chi, come Franco Grazzina, dice di “aver dormito per terra nel 1949 al Campo Profughi di Udine, solo con una coperta e dei fogli di giornale – poi aggiunge – per mangiare si faceva una lunga fila con la gamella, poi siamo andati a vivere a Venzone e poi a Gorizia”. La signora Dora Faresi Pizzo racconta: “Son vignuda via nel 1946, noi se doveva finir in foiba, go visto i annegamenti dei cetnici [iugoslavi monarchici anticomunisti] e dei italiani legadi assieme, iera tochi de cadaveri portadi dal mar su la riva”. Questi sono solo alcuni brani delle varie testimonianze raccolte (18).

Pagella di Egle Tomissich, Fiume 1943-1944 
(Collezione Egle e Odette Tomissich, Udine).

Aveva quattordici anni, quando lasciò Isola d’Istria, la signora Licia Degrassi, che ricorda una sua “amica d’infanzia, tale Dora Valentini e di suo papà che fu infoibato”. Il cugino Damiano Degrassi era al CRP di Opicina, vicino a Trieste. “Durante una manifestazione per l’Italia, nei primi anni Cinquanta – ha concluso la signora Degrassi – un gruppo di slave mi ha preso e picchiato vicino ad un portone, me la son vista proprio brutta, ma mi ha salvato un signore di passaggio”.
Certe volte le testimonianze sono sconvolgenti, come nel caso del racconto di Maria Anderloni (19). “Una mia parente, Anna Giuppani in Anderloni – ha detto – era nata a Zara, sapeva due lingue: tedesco e inglese. Prima della guerra scappò da Zara con la famiglia, perché suo padre girava, per lavoro, presso i mezzadri col fattore. Da un certo giorno non ebbero più notizie di lui, finché non giunse in casa una scatola, dove dentro c’era la testa mozzata del capofamiglia. Ecco perché fuggirono inorriditi”.
Si pubblica, a questo punto, uno stralcio di una lettera di una profuga, che si conclude con una constatazione assai cruda: “Bisogna sopportare tutto, siamo profughi e questa parola dice tutto”. L’autrice è Marie Rassmann (20) profuga da Fiume fino in Germania, a Norimberga. Nel 1954 scrisse al cognato e alla nipote, esuli a Udine, dopo aver appreso la notizia della morte della sorella Amalia. Tutte le affettività familiari sono state omesse e si riporta solo il testo che allude alla condizione di profugo, poiché è quanto mai indicativo.

“Norimberga, 3 febbraio 1954

Carletto mio carissimo, Helga mia!
(…) Anch’io sento l’età e la mia costituzione non è così forte da poter sopportare tanto. Tutta quella mancanza di tatto, che è qui all’ordine del giorno, bisogna inghiottire, e corrode i nervi e la salute. Anche Rudi [il figlio] è qualche volta alla disperazione e sono io quella che deve dargli nuova energia e conforto. Ma non ci resta altro scampo, bisogna sopportare tutto, siamo profughi e questa parola dice tutto.(…)
Sono sempre la vostra Maria”.



5.   Famiglie cacciate dalla Slavonia perché italiane nel 1956

Passarono per il CSP di Udine pure un gruppo di esuli tutto particolare, la cui storia finora era sconosciuta. Si tratta di certe famiglie di origine veneta, frutto dell’emigrazione di fine Ottocento ed inizi del Novecento. Dall’area di Romano d’Ezzelino, provincia di Vicenza, i loro avi erano emigrati nell’Impero d’Austria Ungheria per lavorare nelle carbonaie della Slavonia, in Croazia, nei pressi di Osijek, vicino al confine ungherese. Dopo il 1945 i giovani frequentavano le scuole iugoslave parlavano croato e recavano persino nomi propri croati. Le famiglie erano integrate. Solo in casa c’era chi parlava l’antico dialetto veneto imparato dai nonni. Da questa interessante intervista si comprende come il sistema della pulizia etnica, ormai, imperversasse nella Jugoslavia del 1950-1960. Chi avesse avuto una parvenza di italiano doveva essere cacciato.
“Mia mamma era Maria Bosniak, oggi vivo in provincia di Varese – ha detto Slavica Delbianco  (21)  – siamo dovuti venir via, dopo varie pressioni, nel 1956. Siamo arrivati al confine di Fernetti, vicino a Trieste, in treno e i soldati slavi ci dissero che i dinari iugoslavi era meglio cambiarli, però quando il treno è ripartito loro si sono tenuti tutti i nostri soldi. Prima della partenza le autorità iugoslave ci diedero una lista dei beni che potevamo portare in Italia, erano poche cose. Abbiamo dovuto vendere tante cose. Siamo passati dal Campo Profughi di Udine, poi ci hanno trasferiti a Gaeta, provincia di Latina, lì il Campo Profughi era in una vecchia caserma rovinata. Poi siamo andati al Campo Profughi di Aversa, provincia di Caserta, in certi prefabbricati; erano delle belle casette. Poi di nuovo al CRP di Gaeta, dove, nel 1959, mi è nata una sorellina. Mio nonno Delbianco faceva il carbonaio e proveniva dalla zona di Romano d’Ezzelino. Siamo usciti dal CRP nel 1961. I miei genitori hanno dovuto aspettare tre anni per avere i documenti per espatriare. Prima di partire abbiamo dovuto vedere un pezzo di terra e, persino, il corredo con merletti. Al confine italiano mio fratello Ivan è stato italianizzato in Giovanni e così via…”.


6. Una fuga da Zara del 1957

Ora osserviamo un interessante e raro atto che attesta l’attività del Centro di Smistamento Profughi di Udine, dal quale risultano i contatti di tale Centro non solo col Ministero dell’Interno, Direzione Generale Assistenza Pubblica, di Roma, pure col Consolato Italiano di Zagabria (Jugoslavia).
Si tratta di un documento dattiloscritto, del 24 agosto 1957, per copia conforme all’originale del rilascio del passaporto ad Anna Scocich in Scara, nata a Nona (“Nin”, in croato), provincia di Zara il 2 ottobre 1919, di professione casalinga. Gli Scara sono venuti via da Zara nel 1957 e sono arrivati a Udine il 29 ottobre di quell’anno, nel Centro di Smistamento Profughi di Via Pradamano.
L’atto è stato emesso da un certo De Paoli, direttore del Centro Raccolta Profughi (C.R.P.) di Udine, per il trasferimento della signora Scocich al Campo Profughi “Caserma Cosenz (?)" di Gaeta, provincia di Latina. Tale C.R.P. di Gaeta è citato pure da Emiliano Loria nel suo "L'esilio raccontato". Nel documento sotto riportato è menzionata l’assegnazione di un sussidio per lei di lire 500 pro-capite, per una persona in data 21 novembre 1957. Questa è pure la data del trasferimento da Udine al C.R.P. di Gaeta.
Il passaporto è rilasciato dal Consolato Generale d’Italia a Zagabria (console “L.T.”) ed è valido per la Jugoslavia fino al 20 febbraio 1958, salvo rinnovi (Collezione famiglia Skara).

Copia conforme all'originale per il rilascio del passaporto di Scara Anna nata Scocich, da Zara (Collezione famiglia Skara)

Abbiamo chiesto a Seloua Skara, nipote ventenne di Anna Scocich di raccontare la storia della sua nonna paterna. «La storia di mia nonna non è allegra – ha riferito Seloua Skara – non riusciva a integrarsi, a differenza del marito e dei figli, e non si adattò mai alla vita in Italia. Morì giovane». Nonna Anna Scocich lasciò alcuni suoi parenti in Croazia, oltre a tutti i propri cari fuggiti nell’esodo giuliano dalmata in Italia. La famiglia possedeva «alcuni appezzamenti di terra a Nin».
Sito a 17 km da Zara, Nin (“Nona” in dialetto dalmata) è un borgo sviluppatosi su un isolotto (di 1800 abitanti) collegato alla terraferma con due ponti, nella parte alta della penisola di Kotori. (Intervista del 20 novembre 2013 in Facebook).


C'era un "Secondo Villaggio Giuliano" a Udine nel 1956. Qui siamo in Via Enrico Fruch e in questi piccoli condomini abitavano alcuni esuli d'Istria, di Fiume e della Dalmazia, oltre ad altri assegnatari di case popolari. La prima fotografia sopra riportata è stata ripresa dal vialetto interno, infatti ci sono i fili per stendere la biancheria. I cortili interni stanno tra Via Fruch e Via Abbazia. L'ultima fotografia qui sotto riportata mostra l'incrocio tra Via Pola e Via Fruch. Tra gli esuli c'è chi ricorda queste abitazioni come "le case degli esuli giuliani e dalmati", altri come il Secondo Villaggio Giuliano, dato che il "Primo Villaggio Giuliano" è in Via Casarsa, Via Cormòr Alto, come si vede in questo stesso articolo. 
(Fotografie di Elio Varutti 2015)



7.     Dopo il Giorno del Ricordo, c’è voglia di capire

Con l’istituzione del Giorno del Ricordo, Legge n. 92 del 30 marzo 2004, è cambiato qualcosa nel mondo degli esuli. Tale approvazione nelle scuole italiane, come ricorda Chiara Vigini (22)  “ha dato il via a un fermento di attività per conoscere le vicende che ne sono all’origine, con lezioni, conferenze, raccolta di testimonianze – nella provincia di Trieste non è bastata ad influire significativamente sulla loro divulgazione, e nella città giuliana e nel suo circondario, la didattica del confine orientale continua ad essere segnata più che in qualsiasi altro luogo da un’eredità pesante che ne costituisce la premessa e l’ineludibile condizione”.
Come ha affermato la signora Rosalba Meneghini Capoluongo, figlia di Maria Millia, esule di Rovigno, c’è la voglia di capire, rispetto a chi opponeva un riservato silenzio. “No se ga de contar robe brutte ai pici” – così mi ha detto più di una intervistata dell’Istria, di Fiume o di Zara (23), ma poi è cambiato il clima generale e gli esuli raccontano le loro esperienze anche in pubblico.
Succede, forse per superare un certo senso di colpa, che pure le anziane donne croate, parlino pur con circospezione con qualche esule italiano cacciato negli anni ’50 e che ritorna in Istria a cercare notizie del proprio parente scomparso. Mi riferisco al caso di Francesco Tromba, da Rovigno. “Il 16 settembre 1943 mio padre Giuseppe Tromba, del 1899, fu prelevato a Rovigno dai partigiani titini – ha detto Francesco Tromba – due di guardia stavano in strada e altri cinque sono entrati in casa… e solo nel 2007 ho saputo da donne del posto dove era la foiba di Vines, perché lì fu buttato; uno dei partigiani responsabili era il tale Abbà, oggi io sono esule a Bibione, in provincia di Venezia”. 
Esisteva per così dire una pseudo macabra cultura della foiba, nel senso che i partigiani titini scherzavano tra loro sul tema. È quanto è emerso dalla seguente testimonianza da Pola: “Nel 1943 mio padre aderì al movimento partigiano – ha detto Vittorio Re – dato che i titini gli avevano dato una lettera per presentarsi all’interno dell’Istria, poi scoprì che avrebbe dovuto essere utilizzato in prima linea, rischiando di essere ucciso”. Era, forse, una forma di pulizia etnica, per così dire di tipo preventivo? “Credo di sì – ha aggiunto il signor Re – poi si scherniva con gli stessi commilitoni croati, con i quali restò comunque in contatto”. In che senso? “I titini, facendo in modo che lui sentisse, si dicevano che, mandandolo in prima linea contro i tedeschi: “Cussì no ocore che lo femo fora noi!” Alla fine siamo venuti via nel 1949. Siamo passati per Udine, per finire al Campo Profughi di Catania per circa cinque mesi” (24).
Notizie interessanti giungono dal signor Siro Gattesco, che visse a Pola dal 1938 al 1946, giorno della fuga col Toscana. “Mio papà Alfonso aveva un caffè a Pola, in Largo Oberdan, rilevato da Gasparini nel 1938 – ha detto – c’erano gli inglesi e mio papà fu preso dai titini e portato in campagna in una casupola con altre quindici persone, tutti italiani. Lui conosceva una guardia titina e gli promise dei soldi per farlo scappare, così si salvò. Del resto del gruppo che era con lui non si è saputo più nulla, perché saranno finiti in una foiba. Nel 1946 i camion degli inglesi con la truppa andavano a tirar fuori le salme dalle foibe e partivano da Largo Oberdan, dove c’era il bar della mia famiglia”. 
Talvolta gli intervistati vanno oltre, riferendo di manifestazioni di italianità nell’Istria del 1947. Il signor Roberto Stanzione, da Pola (25)  si è proclamato “orgoglioso di essere italiano e di aver partecipato con la squadra Itala Pestel di Pola all’attività anticomunista nel 1947”. Con atteggiamento equanime ha aggiunto: “Ne abbiamo date e ne abbiamo prese, ma non ci siamo imboscati quando bisognava tenere alto l’orgoglio nazionale (…). Noi della società Itala Pestel abbiamo rischiato e siamo stati inseriti nelle famose liste di eliminazione dell’UAIS del tempo [UAIS = Unione Antifascista Italo Slovena]. Sono stato allontanato da Pola il 27 gennaio 1947, perché incluso in una lista di eliminazione e consegnato dalla allora Civil Police alla Polizia ferroviaria italiana al Ponte di Pieris [in provincia di Gorizia]”. Poi passò al Campo Profughi di Roma, lavorò all’estero e, mi sembra di ricordare, vive a Lecco.


Il toponimo di "Villaggio Giuliano" a San Giorgio di Nogaro, provincia di Udine, dove nei primi anni '50 furono edificate le case per i profughi italiani d'Istria, Fiume e Dalmazia. Fotografia di Olga Ravazzolo, classe 4^ E enogastronomia, 
Istituto Stringher, Udine, anno scolastico 2014-2015.
Nelle cartoline riprodotte qui sotto: immagini storiche del Villaggio Giuliano 
 di San Giorgio di Nogaro, riprese da Internet.

San Giorgio di Nogaro - Il Villaggio Giuliano come si presentava negli anni Cinquanta, con vista sulla passerella sul fiume Corno. Fotografia riprodotta dal volume di Luigi Del Piccolo, Storia di San Giorgio di Nogaro, Edizioni Biblioteca dell'Immagine, Pordenone, 2010.

Risulta “disperso” il 29 gennaio 1945 Enea Urbino, milite italiano nato a Visinada (provincia di Pola, Istria) il 7 agosto 1927. Era figlio di Francesco Urbino e di Antonia “Nina” Roppa. La gente del paese disse che fu “gettato in foiba” dai titini, come ricordano i familiari (26). Costoro fuggono da Visinada alla fine della seconda guerra mondiale, lasciando laggiù le loro case e tutti i loro beni “per evitare di essere uccisi o gettati nelle foibe”. Così continua quest’altra testimonianza: “I miei nonni materni, Francesco Urbino, Antonia Nina Roppa e la mia mamma, Bruna Urbino scapparono a Trieste. Mio zio Enea Urbino, fratello di mia mamma era scomparso”. Dove vennero accolti? Passarono per i Campi Profughi? “Prima passarono per il Silos di Trieste – risponde Patrizia Dal Dosso –, quello vicino alla stazione, dove vennero registrati come esuli. In seguito furono ospitati da una famiglia di amici, mentre la sorella di mia mamma, con la famiglia e i figli, venne mandata nel Campo Profughi di Latina, vicino a Roma”.

Il servizio mensa al Centro di Smistamento Profughi di Udine. Piatti di latta, gamelle e, se non c'era altro, gavette  (fotografia de Il Gazzettino)

Altri italiani furono eliminati nelle foibe o con altri sistemi dopo la fine del conflitto. E’ il caso del dottor Giovanni Gorlato, nato nel 1900, notaio di Dignano d’Istria, prelevato di forza da un gruppo di quattro partigiani titini da casa sua la sera del 3 maggio 1945, così come successo con altre persone in vista del paese, tutti italiani. Venne fatto salire su un camion e portato al castello di Pisino. “Mia zia, l’unica presente al momento in casa, intervenne per difendere il fratello e chiedere spiegazioni ai partigiani titini - ha detto il figlio Giorgio Gorlato - ma per tutta risposta, da parte di uno di costoro, fu colpita al capo col calcio del fucile e rimase tramortita sul marciapiedi davanti a casa. Mia madre, con grande coraggio si recò successivamente al comando dell’OZNA (la  polizia politica di Tito) di Fiume per sapere qualcosa di suo marito. Fu trattata in malo modo e non ottenne alcuna informazione. Da allora non si seppe più nulla di mio padre”. Dalla testimonianza della sorella del signor Gorlato emerge ancora il tema del silenzio degli esuli. “Dato il dolore che  portavo e porto sempre nel cuore, per me l’Istria è stata nel limbo fino al 2009 quando con altri dignanesi esuli in Friuli, sono riuscita finalmente ad affrontare un viaggio nel mio paese natio per riconciliarmi - ha detto Daria Gorlato -. Questo perché mio padre Giovanni, che era notaio a Dignano, fu portato via, senza alcuna spiegazione, dai partigiani titini e nulla fu detto alla mia famiglia. Mia madre, rimasta sola con due bambini piccoli, ha per lungo tempo sperato che tornasse, ma evidentemente mio padre fu fatto scomparire non si sa come e dove, alla stregua di tanti altri poveri italiani innocenti”.
Qualche discendente di esuli è nato nel Campo Profughi (27). È accaduto così a Mario Canciani, nato e cresciuto a San Canzian d’Isonzo (GO), nel locale Campo Profughi. “Prima era tutto di baracche – racconta – poi dal 1958 erano casette, saremo stati un centinaio di famiglie, infine la mia famiglia andò ad abitare a Roiano, quartiere di Trieste. Noi venivamo da Dignano d’Istria, mio nonno faceva Belci di cognome”.
L’importanza del CRP di Udine è stata riaffermata da recenti studi di Raoul Pupo (28), dopo il ritrovamento dell’Archivio per l’Ufficio per le Zone di Confine (UZC) del 2008, presso il Centro polifunzionale di Castelnuovo di Porto, provincia di Roma. Dai 676 cartolari emerge che le erogazioni governative per le zone di confine dal 1946 al 1950 ammontano a 3.804 milioni di lire, come risulta dalla tabella n. 1, che vede Udine in terza posizione (con 249 milioni di lire) dopo le spese per Trieste (con 2.310 milioni di lire; qui sono stati operativi ben 18 campi profughi, perciò si prese il 60 per cento dei finanziamenti) e Pola con 885 milioni di lire (23,3%). Nella ricerca di Pupo si capisce che il CRP di Udine riceveva profughi di zone come Canale d’Isonzo, Tolmino, Caporetto, dal CRP di Gorizia, che fu istituito l’8 dicembre 1946, nei locali dell’Ufficio Provinciale dell’Assistenza Postbellica.
Al CRP di Udine, tuttavia, passarono molti istriani, come Lidia Illusigh e parenti, esuli da Pola col piroscafo Toscana, oppure come Maria Chialich, di Dignano d’Istria, cacciata via con la sorella Caterina Chialich vedova Laghigna nel 1957; loro ebbero sette familiari infoibati (29).

Tabella n. 1 – Spese per gli Uffici Provinciali dell’Assistenza Postbellica, 1946-1950
Province     Milioni di Lire     Percentuale

Pola                885                    23,3
Trieste           2.310                  60,7
Udine              249                     6,5
Gorizia            211                     5,5
Bolzano          124                     3,3
Trento              25                      0,7
                    -------                  -----
Totale          3.804                    100

Fonte: Nostra rielaborazione su dati dell’Ufficio per le Zone di Confine, Centro polifunzionale di Castelnuovo di Porto (Roma), citato da Rauol Pupo, L’Ufficio per le zone di confine e la Venezia Giulia: filoni di ricerca, “Qualestoria”, 2010

Inaugurazione del Villaggio Giuliano di San Giorgio di Nogaro nell'agosto 1950. Foto inviatami da G.V. in nome degli esuli del Villaggio Giuliano di San Giorgio di Nogaro

8.    Il Villaggio Giuliano a San Giorgio di Nogaro
I primi abitanti del Villaggio Giuliano a San Giorgio di Nogaro, vicino alla frazione di Villanova, 1950. Archivio del Comune di San Giorgio di Nogaro, provincia di Udine. In parentesi riquadrata i cognomi corretti, secondo la fonte, il signor Gianfranco Volpi, che si ringrazia per la cortese collaborazione. Il Villaggio Giuliano è composto da otto semplici costruzioni, che possono alloggiare quattro famiglie ciascuna, per un totale di 32 assegnatari. Ogni appartamento è un bicamere, con atrio, cucina, soggiorno e un bagno. I progetti sono datati 30 luglio 1949. Gli edifici sono stati finanziati dall’ente internazionale U.N.R.R.A. – C.A.S.A.S. che esige un canone mensile di 1.625 lire oltre il 3% di IGE, dal 1° agosto 1950. Archivio del Comune di San Giorgio di Nogaro.
Documenti riprodotti in: Gianfranco Volpi, S. Giorgio di Nogaro. Volti da Villaggio 1950-2010, DVD, 2011, che ringrazio sentitamente per avermi contattato.

"Villaggio Giuliano (fraz. Nogaro) Case Fanfani
1. Colovic Antonio [Carlovich]
2. Benci Giuseppe fu Giovanni
3. Carbona Pietro [Carbone]
4. Zanello Luigi
5. Cecconi Gerolamo
6. Lokar Giovanni
7. Volpi Virginio
8. Rentini Silvio [Pontini]
9. Cettino Giovanni [Cettina]
10. Bussani Giovanni
11. Bailo Romano
12. Barbieri Nicolò
13. Perone [Perrone]
14. Cerdonis Pietro [Cerdonio]
15. Brezar Giuseppe
16. Gallo Ettore
17. Bazara Angelo [Bazzarra]
18. Cimin Arturo [Cimini]
19. Cisaro Remo [Cesaro]
20. Lucchesi Dario
21. Grison Pietro [Grisan]
22. Lugnani Andrea
23. Tisaris Pietro [Tessaris]
24. Lamba Umberto [Sambo]
25. Cucurin Pietro
26. Selvi Antonio [Salvi]
27. Cermoz Giovanni [Cernaz]
28. Galovic Fermo [Gallovich]
29. Palmeni Filippo [Palmucci]
30. Giuliani F. [Zuliani]
31. Voghieri Emilio [Volghieri]
32. Biaziol Francesco [Biasiol]".
 Inaugurazione del Villaggio Giuliano di San Giorgio di Nogaro nell'agosto 1950. Foto inviatami da G.V. in nome degli esuli del Villaggio Giuliano di San Giorgio di Nogaro

Inaugurazione del Villaggio Giuliano di San Giorgio di Nogaro nell'agosto 1950. Foto inviatami da G.V. in nome degli esuli del Villaggio Giuliano di San Giorgio di Nogaro

  9.     L’Istituto Stringher di Udine con l’ANVGD

Dal 18 al 22 settembre 1996, due allieve della sezione turistica dell’Istituto “B. Stringher” di Udine, guidate dalla professoressa Nadia Tacus, hanno partecipato, in veste di “ciceroni” ad un viaggio in Dalmazia, con una comitiva di esuli e con l’ingegnere Silvio Cattalini, presidente del Comitato di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD).
La stessa scuola nel 2005, mediante gli studenti effettua alcune interviste ai discendenti di monsignore Giulio Vidulich (Lussinpiccolo 1927 – Percoto 2003), a cura della professoressa Elisabetta Marioni.
Sulla vicenda del CRP di Udine, sull’esodo e le foibe lo scrivente dal 2008 svolge ogni anno, nel Giorno del Ricordo, un’attività di comunicazione e informazione alle classi quinte, assieme ai propri allievi dell’Istituto Statale d’Istruzione Superiore “B. Stringher” di Udine, in altre scuole e in regione, in collaborazione con l’ANVGD. 
Il giorno 3 dicembre 2011 si è svolta un conferenza nella classe 5^ C turistica dello Stringher di Rosalba Meneghini, figlia di una profuga istriana di Rovigno. Nel 2012 tra le interviste raccolte dagli studenti, spiccano quelle a Nerea Mazzoli, di Trieste, sul Territorio Libero di Trieste, a cura della pronipote Desireé Mariotti. Poi sono stati raccolti i ricordi di Lidia Illusigh, esule da Pola, a cura del nipote Massimiliano Rosso, di Martignacco
Sui luoghi dell’esodo istriano dalmata a Udine lo scrivente assieme ai propri allievi dell’ISIS Stringher, per incentivare il turismo della memoria, nell’anno scolastico 2011-2012 ha iniziato ad allestire un Itinerario giuliano a Udine. Esodo istriano, un brano sconosciuto di storia locale. Il DVD con tale percorso è stato illustrato il 9 febbraio 2013 alle classi quinte della scuola, con la partecipazione di Furio Honsell, sindaco di Udine, di Anna Maria Zilli, Dirigente scolastico dello Stringher e dell’ingegner Silvio Cattalini, presidente del Comitato Provinciale di Udine dell’ANVGD. Il giorno dopo l’Itinerario giuliano è stato presentato alla cittadinanza udinese all’Auditorium Zanon, nella manifestazione ufficiale del Giorno del Ricordo, oltre che nel Comune di Povoletto (UD) e a Trieste in un corso di aggiornamento per insegnanti dell’Ufficio Scolastico Regionale. All’Isis “B Stringher” dal 2011 viene organizzata pure una Mostra documentaria sul Giorno del Ricordo, sui testi di Guido Rumici per l’ANVGD (30).
Anche il giorno 8 febbraio 2014 allo Stringher si è operato per il Giorno del Ricordo, sempre col sindaco Furio Honsell, Silvio Cattalini e Renata Capria D’Aronco, presidente del Club UNESCO di Udine e la mostra documentaria con alcuni pannelli prodotti dalla stessa comunità scolastica. Analoghe iniziative si sono tenute in altre scuole della regione.


Istituto "B. Stringher" di Udine (foto di Giancarlo Martina)

10.    Ringraziamenti

Il saggio presente si avvale, oltre alla tradizionale letteratura sul campo e nel web, anche di una serie di ricerche scolastiche, legate ad alcune lezioni di storia e di economia turistica del Novecento. Per la collaborazione prestata, ringrazio, oltre gli intervistati, i professori Daniela Conighi, Carla Maffeo, Giancarlo Martina, Elisabetta Marioni, Alessandro Pirani, Maria Pacelli, Monica Secco, Antonio Toffoletti e Anna Maria Zilli, Dirigente scolastico dell’Istituto Statale d’Istruzione Superiore “B. Stringher” di Udine. Progetto Il Secolo breve in Friuli Venezia Giulia, sostenuto dalla Fondazione CRUP.

Scappare da Fiume nel 1946 e riuscire a portarsi via i francobolli del periodo dell'impresa di D'Annunzio 1919-1920. Quelli in basso con la stampigliatura "Governo Provvisorio". 
Collezione Conighi Orgnani, Udine

Circolava a Fiume nel 1922 questa banconota da 100 corone; esisteva ancora a Vienna la Banca Austroungarica. "I veci istriani ciamava la Defonta", il disciolto Impero Austro Ungarico.
Collezione Conighi Orgnani, Udine
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Note bibliografiche

1) Si ringraziano le persone intervistate per la collaborazione prestata e per i materiali messi a disposizione della ricerca. Si ringraziano, poi, le direzioni e gli operatori dei musei, degli archivi e delle biblioteche visitate per lo studio.
Testimonianze raccolte a Udine da E. Varutti, se non altrimenti indicato. Fonte orale: Pietro Palazziol, 1945, Valle d’Istria, provincia di Pola, intervista (d’ora in poi: int.) del 18 marzo 2008.
Se interessa, si può leggere un articolo in lingua friulana sul Messaggero Veneto del 5 febbraio 2013, riguardo al Campo Profughi Istriani e Dalmati di Udine: In chel Cjamp di Udin a son passâts centmil profucs julians e dalmats.Poi c'è un articolo sul Centro di Smistamento Profughi di Udine sul settimanale "Il Friuli" del 10.02.2015, col titolo Quando Udine ospitò 100 mila profughi.
Questo è un volume sui profughi italiani d'Istria, di Fiume e della Dalmazia accolti a Udine:  R. Bruno, E. Marioni, G. Martina, E. Varutti, Ospiti di gente varia. Cosacchi esuli giuliano dalmati e il Centro di Smistamento Profughi di Udine 1943-1960Udine, Istituto Statale d'Istruzione Superiore "B. Stringher", 2015. Disponibile anche nel web.

2) Fonti orali: Giuseppe Bugatto Junior (Zara 1924 – Udine 2014); Rita Bugatto in Marsich, 1928, Zara, int. del giorno 11 febbraio 2004, in presenza di Giuseppe Marsich, 1928, italiano all’estero, Veglia, Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni. Il fratello di quest’ultimo, Livio Marsich, (Veglia 1932 – Udine 2011), dopo il funerale svoltosi a Udine nella chiesa di S. Rocco gremitissima di parrocchiani ed esuli, volle che le sue ceneri riposassero a Veglia, oggi in Croazia. Altra fonte: Roberto Paolini (Zara 1938 – Udine 2011), int. del 14 febbraio 2011.

3) Archivio della Curia Udinese (ACAU), f. Pontificia / Commissione / Colonie, c. 1. Ringrazio don Maurizio Volpe, responsabile dell’ACAU, per la cortese collaborazione.

4) «Rivista Diocesana Udinese», settembre – ottobre, 1946, p. 105.

5) La vicenda del Campo di concentramento per civili sloveni e croati di Gonars è emersa nel 2003; vedi: Alessandra Kersevan, Lager italiani. Pulizia etnica e campi di concentramento fascista per civili iugoslavi 1941-1943, Roma, Nutrimenti, 2008, pp. 53, 69 e 251. Sul Campo di Palazzolo dello Stella, vedi: Silvio Bini, Campo delle Valderie un ‘lager’ dimenticato, «Il Gazzettino», edizione del Friuli, 1 giugno 2014, p. XII. La vicenda del maggiore Meda è contenuta in Archivio Osoppo della Resistenza in Friuli (AORF), cartella T 1, f 7, c 12.

6) W. Benjamin, Gesammelte Schriften, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1972-1989 (traduzione italiana: Opere complete, II. Scritti 1923-1927, Torino, Einaudi, 2001, p. 74).

7) Pietro Damiani Calvino, Relazione sull’attività del Campo N. 4 AMG-DP Centre Udine, 1 febbraio 1946, Archivio Osoppo della Resistenza in Friuli (AORF), cit. La esplicazione e traduzione per N. 4 AMG-DP Centre Udine è: “N. 4 Allied Military Government – Displaced Persons Centre Udine” (Centro n. 4 per Rifugiati – letteralmente: Persone Sgradite, secondo certe traduzioni, oppure: "Centro Raccolta delle persone senza patria"  – del Governo Militare Alleato di Udine). L’attribuzione internazionale di “rifugiato” è stabilita a Ginevra il 28 luglio 1951. L’AORF ha sede presso la Biblioteca “Pietro Bertolla” del Seminario di Udine. Vedi pure: Elio Varutti, Il Campo Profughi di Via Pradamano e l’Associazionismo giuliano dalmata a Udine. Ricerca storico sociologica tra la gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo, 1945-2007, Udine, Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Comitato Provinciale di Udine, 2007, pp. 61-64. Per tale ricerca sono state raccolte 103 testimonianze dalle fonti orali, sia profughi che popolazione locale. Fino ad oggi lo scrivente ha effettuato altre 72 interviste a profughi e ai loro discendenti, utilizzate anche per il presente contributo. Vedi pure: E. Varutti, Cara maestra, le scrivo dal Campo Profughi. Bambini di Zara e dell’Istria scolari a Udine, 1948-1963, «Sot la Nape», 4, 2008, pp. 73-86. Anche certe fonti della memorialistica, come quella di Dori Maraggi, ricordano la vecchia scuola “Dante Alighieri” di via Gorizia, dove fu allestito un primo Centro di Raccolta Profughi di Udine. Cfr.: Dori Maraggi, Borgo S. Lazzaro, Udine, 1986, p. 13, dattiloscritto.

8) Maria Millia, vedova Meneghini (Rovigno 1920 – Udine 2009) int. del giorno 11 maggio 2004 e 10 febbraio 2008. Rosalba Meneghini in Capoluongo, 1951, Udine, int. del 3 dicembre 2011.

9) Fonte orale: Anna Maria L. istriana, 1963, Tolmezzo (UD), int. del 15 dicembre 2010. Sugli istriani gentili e riservati, c’è la testimonianza di Ivana Varutti, San Vito di Fagagna (UD), 1946, int. del 6 settembre 2011.

10) Roberto De Bernardis, Quel triste addio alle colline dell’Istria, «L’Adige» 18 febbraio 2008.

11) Per i precettati della TODT al lavoro sulle piste di volo  di Lavariano, vedi: Erminio Polo, Maledetta guerra, Lavariano di Mortegliano (UD), Associazione Culturale La Torre, 2004, pp. 51, 70, 97, 99, 131 e 142. La poesia di Castellani è pubblicata su «Il Strolic furlan pal 1960», della Società Filologica Friulana. Per i racconti sul Villaggio Metallico fonte orale: Vittorio Zannier, 1951, Udine, int. del 22 febbraio 2008. Per il Campo di baracche di San Gottardo, le testimonianze sono di: Giuliana Sgobino, 1940, Ancona, vissuta a Udine, int. del 10 febbraio 2013. Bruno De Faccio, 1933, Udine, int. a cura di Elisabetta Marioni del 12 ottobre 2011.

12) Remo Leonarduzzi, La ex-Gil di via Pradamano, «Baldasseria 78», Udine, 1978, pp. 6-7. Fonte orale: Bruno Perissutti, 1936, Zara, int. del 7 febbraio 2008.

13) Documenti su carta intestata del CSP sono in: Archivio di Stato di Udine (ASUD), Prefettura, Appendice, busta 125, carta dal Registro spedizione masserizie profughi. Fonte orale: Leonardo Cesaratto (Bucarest 1926 - Udine 2011), impiegato del Centro Smistamento Profughi, int. del 26 gennaio e del giorno 11 febbraio 2004. Direttore del Campo il 19 agosto 1948 era Luciano Guaita. Fonte orale: Silvio Cattalini, 1927, Zara, int. del 22 gennaio 2004 e del 10 febbraio 2014.

14) Guido Rumici, Catalogo della mostra fotografica sul Giorno del Ricordo, Roma, ANVGD, 2009. Padre Rocchi scrisse di 109 CRP. Vedi: Flaminio Rocchi, L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati, Roma, Associazione Nazionale Difesa Adriatica, p. 194. Nel 1958 l’Opera per l’assistenza ai profughi giuliani e dalmati riuscì a censire 201 mila e 440 profughi, ma tale cifra non tiene conto di chi partì senza ricorrere all’assistenza del governo e dei vari enti preposti. Ecco perché certi autori portano ad oltre 300 mila il totale degli italiani in fuga dalle loro terre annesse dal regime iugoslavo, dopo il Trattato di Parigi del 1947. Vedi G. Rumici, Il lungo dopoguerra nella Venezia Giulia. L’esodo della popolazione giuliana, in Carmen Palazzolo Debianchi (a cura di), Esodo…, La vicenda, le radici storiche, i tragici eventi, le conseguenze, Atti del seminario, Trieste, Associazione delle Comunità Istriane, 2007, pp. 161-173.

Passaporto provvisorio di Tainer Dusan, che passa al confine di Sesana il 13 luglio 1948 e giunge al Centro Smistamento Profughi di Udine il giorno dopo. Da lì il 12 agosto verrà inviato al CRP di Torino. Collezione Mirella Tainer, Deerfield, USA

15) Fonti orali: Cristina Dilena in Benolich (Gorizia 1949 – Udine 2004), int. del 23 e 27 dicembre 2003, assieme alla suocera Albina Alma Visintin vedova Benolich, 1936, San Giovanni di Portole. Sui regali dei soldati USA la fonte è: Nino Almacolle, 1940, Udine, int. del 12 gennaio 2012. Altre testimonianze: Francesco Buliani, 1928, Potebba (UD), int. del 29 dicembre 2010. Fulvia Zoratto, 1950, Udine, int. del 20 gennaio 2012. Cfr.: Mario Visintin, Accoglienza, «Baldasseria Festa Insieme 1996», Udine, 1996, pp. 30-31.

16) Fonte orale: Renata Trigari, (Zara 1945 – Udine 2009), int. del 1 dicembre 2007.

17) Fonti orali: Leonardo Cesaratto (Bucarest 1926 – Udine 2011), int. del 26 gennaio e 11 febbraio 2004. Elvira Dudech (Zara 1930 – Udine 2008), int. del 28 gennaio 2004 e 15 dicembre 2007.

18) Fonte: Laura B. M., 1943, Pola, vive a Trieste e a Latina, corrispondenza e-mail del 12 giugno 2011; l’impressione sul “fatiscente” CRP di Udine è riportata da suoi amici originari di Parenzo, che gestiscono due librerie a Latina. Altra fonte: Dario Stritof, 1950, Pola, vive a Cavriglia (AR), messaggi in Facebook del 19 febbraio 2011 e del 10 febbraio 2014. Un’altra fonte orale: Olivia Vesnaver, 1955, Portole, Jugoslavia, messaggi in Facebook del 27 gennaio 2013. Poi ci sono: Egle (Fiume, 1931) ed Odette Tomissich (Fiume, 1932), int. del 3 febbraio 2011. Fonti orali: Franco Grazzina, 1943, Fiume, vive a Gorizia; telefonata del 19 febbraio 2013. Dora Faresi Pizzo, 1926, Lussinpiccolo, int. del 13 febbraio 2007.

19) Fonte orale: Licia Degrassi, 1931, Isola d’Istria, int. del 12.02.2011. Poi ci sono: Maria Anderloni in Da Vico (Udine, 1925 – 2011), int. del 24 dicembre 2005 e Giacomo Da Vico, 1925, Colloredo di Montalbano (UD), int. del 13 agosto 2011.

20) Marie Rassmann, vedova Gramisch e vedova di seconde nozze Kienel (Fiume 1893 – Norimberga 1986). Insegnante di Lingua italiana a Norimberga, ritornò in Italia negli anni 1960-1970 per trascorrere, in estate, qualche giorno di vacanza sulla riviera romagnola con la famiglia. Documenti manoscritti in: Collezione Conighi, Udine.

21) Slavica Delbianco, 1948, Zielona Gòra (Jugoslavia), int. telefonica del 30 ottobre 2013.

22) Chiara Vigini, La didattica del confine orientale al confine orientale, “Annali della Pubblica Istruzione”, 133, 2010, pp. 151-154.

23) Fra le tante fonti: Elvira Dudech, int. cit.

24) Francesco Tromba, 1934, Rovigno, int. del 25 ottobre 2013 a Bibione (VE). Vedi inoltre: F. Tromba, Pola Cara, Istria terra nostra. Storia di uno di noi Esuli istriani (prima edizione: Gorizia, Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia, 2000), Trieste, Libero Comune di Pola in Esilio, 2013. Per la testimonianza sulla macabra pseudo cultura della foiba, la fonte è: Vittorio Re, 1946, Pola, int. a Palmanova (UD) del 23 giugno 2011.

25)   Siro Bruno Gattesco, 1930, Mortegliano (UD), vissuto a Pola nel periodo 1938–1946, int. del 12 febbraio 2011. Altra fonte: Roberto Stanzione, Pola, messaggio in un blog di wikio del 30 maggio 2009.

26) Fonte orale: Patrizia Del Dosso, 1959, Firenze, ora risiede a Mariano del Friuli (GO), int. di Sara Cumin del 16 febbraio 2013

27) Giorgio Gorlato, 1939, Dignano d’Istria, int. del giorno 1° giugno 2013. Daria Gorlato, 1943, Dignano d’Istria, int. del 15 dicembre 2013. Altra fonte: Mario Canciani, 1954, San Canzian d’Isonzo (GO), int. del 10 febbraio 2013.

28) Rauol Pupo, L’Ufficio per le zone di confine e la Venezia Giulia: filoni di ricerca, “Qualestoria”, XXXVIII, 2, dicembre 2010, pp. 57-63.

29) Fonte orale su Lidia Illusigh, esule da Pola (1927–2006): Sergio D’Ecclesiis, Pasian di Prato (UD), int. del 17 dicembre 2011 a cura di Massimiliano Rosso, Martignacco (UD). Altra fonte orale: Maria Chialich vedova Pustetto, Dignano d’Istria (Pola 1919 – Udine 2010), int. del 27 gennaio 2004. Sulle vicende tragiche di tale famiglia, altra fonte orale: Anna Maria L. istriana, Tolmezzo (UD) 1963, int. del 15 dicembre 2010.

30) Vedi: V. Z., Nasce in città il percorso giuliano della memoria, “Messaggero Veneto”, 11 febbraio 2013. Vedi in merito nel web: http://www.ilgiornaledelfriuli.net/cult/mostra-sul-giorno-del-ricordo-allo-stringher-di-udine/

Profughi istriani che hanno sostato a Udine prima di trasferirsi in uno stato estero, probabilmente in America del Sud. La foto, del 1955, di proprietà della signora Giovanna Gandolfo Taverna (la persona al centro con giacca chiara che tiene un bambino in braccio) è stata fatta in occasione del battesimo dei due bambini, uno in braccio alla Giovanna Gandolfo, l’altro in braccio alla madre di Giovanna, nel locale di culto della Chiesa Evangelica Metodista, all’epoca in via Romeo Battistigh. Il pastore Agostino Piccirillo che ha celebrato il battesimo, dovrebbe aver lasciato traccia nei registri della Chiesa Metodista di Udine.
(Collezione Paolo Grillo, Udine)

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