mercoledì 27 settembre 2017

Da Pirano al Villaggio San Marco di Fossoli di Carpi, 1953-1970

Si riporta ora una ricerca sugli esuli giuliano dalmati al Villaggio San Marco di Fossoli di Carpi, nella provincia di Modena, che fu attivo dal 1953 al 1970.
Villaggio San Marco a Fossoli, ingresso. Immagine tratta dal sito web del Comune di Modena

L’area di Fossoli di Carpi dal 1942 fu dapprima un Campo di prigionia durante la seconda guerra mondiale. Dal mese di maggio 1942 all’8 settembre 1943 è il Campo per prigionieri di guerra del Regno Unito (PG 73). Dal 5 dicembre 1943 al 15 marzo 1944 diviene un Campo concentramento per ebrei della Repubblica Sociale Italiana e quindi direttamente delle Waffen SS . Tra coloro che vi transitarono, prima di arrivare al Campo di sterminio di Auschwitz, ci fu anche Primo Levi. Nel Campo di detenzione c’era perfino una sinagoga.
Si pensi a come si incrociano incredibilmente a Fossoli i fatti cruciali della storia italiana: la Shoah e l’esodo giuliano dalmata.
In un convegno tenutosi il 4 maggio 2013 a Carpi sono state rivissute le vicende dei profughi provenienti dall’Istria e dalla Dalmazia ed è stato presentato il progetto di restauro della chiesetta. Opera poi effettuata.
Dal 1953 il Villaggio San Marco ospitò 250 famiglie italiane dell’Istria e della Dalmazia, alcune delle quali vi rimasero per 17 anni. Nel sessantesimo anniversario del Villaggio San Marco di Fossoli, nel 2013, è stata dedicata un’iniziativa culturale promossa dall’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), in collaborazione con il Comune e la Provincia di Modena e la città di Carpi. L’evento è culminato sabato 4 maggio nel convegno storico, con la presentazione del progetto di restauro della chiesetta del Villaggio.
Bimbi con le maestre al Villaggio San Marco di Fossoli

Intitolato “I 60 anni del Villaggio San Marco a Fossoli: storia, presenza, prospettive”, il convegno si è tenuto dalle ore 9 presso la sala congressi di piazzale Allende 7, a Carpi. Era sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica. È stato presentato a Modena venerdì 26 aprile, in una conferenza stampa, alla quale hanno partecipato il sindaco di Modena Giorgio Pighi, il sindaco di Carpi Enrico Campedelli, il presidente della Provincia di Modena Emilio Sabattini e il presidente del Consiglio comunale di Carpi Giovanni Taurasi. Per il Comitato Provinciale di Modena dell’ANVGD hanno partecipato il presidente Giampaolo Pani e il segretario Luigi Vallini.
Nella mattinata del 4 maggio si sono alternati numerosi interventi dedicati alla storia del campo, allo scenario storico e politico dell’epoca, al ricordo delle personalità, modenesi e no, che hanno svolto un ruolo importante per il villaggio San Marco. Non sono mancate alcune testimonianze di tre cittadini carpigiani, all’epoca bambini, che vissero nel campo. Infine, sono stati presentati i progetti di restauro, in particolare dell’edificio della chiesetta, per il quale l’ANVGD si è impegnata in una raccolta di fondi. L’opera è stata poi realizzata.
Nel dopoguerra la struttura fu assegnata all’opera dei Piccoli apostoli di Don Zeno Saltini e ospitò la comunità di Nomadelfia.
La Chiesetta del Villaggio San Marco a Fossoli

Dal 1953 fino alla fine degli anni Sessanta divenne invece, con il nome di Villaggio San Marco, un campo destinato ai cittadini italiani originari delle zone dell’Istria e della Dalmazia. Arrivarono a Fossoli 250 famiglie, in tutto quasi 2.500 persone, che avevano abbandonato le proprie case dopo gli accordi internazionali. Il Trattato di Pace di Parigi del 1947 ridefinisce il confine orientale italiano, assegnando quei territori alla Federativa Repubblica di Jugoslavia. Le famiglie arrivate nel modenese furono una parte delle circa 250-350 mila persone, appartenenti alle comunità italiane dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, che lasciarono case e proprietà tra il 1944 e la fine degli anni Cinquanta, dirette in 90 città italiane, ma anche oltreoceano, dal Canada, Australia, USA, al Venezuela. È il cosiddetto esodo giuliano dalmata.
Al Villaggio San Marco è stata organizzata una Mostra fotografica di carattere storico, nel 2014.
Immagine del Campo di Fossoli tratta dalla ricerca "Ricordi fiumani" di Giulio Scala, del 2015
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Proposta a monumento nazionale per l’ex Campo profughi di Fossoli
Nel Giorno del Ricordo del 2013 l’onorevole Manuela Ghizzoni, capogruppo Pd in commissione Istruzione e Cultura della Camera, ha presentato il progetto di legge per dichiarare monumento nazionale l’ex Campo Fossoli e sostenere l’attività di ricerca della Fondazione relativa. Ecco il messaggio di Manuela Ghizzoni.
«Oggi celebriamo il Giorno del ricordo, istituito con la legge 92 del 2004, per conoscere, coltivare e rinnovare la memoria della tragedia delle vittime delle foibe e dell’esodo dalle loro terre di istriani, fiumani e dalmati.
Un tornante della storia recente, troppo a lungo rimosso, al quale dobbiamo riferirci per rafforzare la nostra identità nazionale e per costruire con lungimiranza il nostro futuro.
La diaspora condusse numerose famiglie anche nella nostra provincia: dal giugno 1954 al marzo 1970, molti profughi giuliani vissero presso l’ex campo di Fossoli, in quello che poi fu noto come il Villaggio San Marco.
Ho depositato come prima firmataria in questi giorni – volutamente nel periodo compreso tra il 27 gennaio Giorno della memoria e il 10 febbraio Giorno del Ricordo – un proposta di legge per sostenere la Fondazione ex Campo Fossoli, al fine di valorizzare il sito e sostenere l’attività di ricerca e di documentazione, necessaria per dare voce a chi è transitato nel Campo durante le diverse fasi della sua storia. La proposta di legge è stata sottoscritta da deputati di diverso orientamento (tra gli altri Nirenstein, Castagnetti, Bachelet, Perina e Granata) e colleghi modenesi di centrodestra e centrosinistra (Bertolini, Miglioli, Levi e Santagata): credo sia il modo migliore per ricordare quelle drammatiche vicende che hanno toccato anche la nostra comunità e per far sí che la memoria si trasformi in vera coscienza critica, in un codice etico che orienta ogni nostra scelta per il futuro. Confido, anche per la condivisione da parte di maggioranza e opposizione, che questa iniziativa si trasformi presto in Legge dello Stato». (Fonte dal web: sassuolo2000.it)
Pirano nei primi decenni del Novecento

Ultime novità sul “Fossoli Camp”
Il 21 settembre 2017 la stessa Manuela Ghizzoni nel suo sito web pubblica questa notizia: «Arrivano i fondi attesi per proseguire con buona lena la conservazione e la valorizzazione del Campo di Fossoli. Oggi pomeriggio, la Conferenza unificata (stamane analogo passo era stato compiuto in Conferenza delle Regioni) ha approvato il piano strategico “Grandi progetti per i beni culturali”. Con questo piano, dal Ministero arriveranno a Comuni e Regioni ben 65 milioni di euro, 3 milioni e mezzo dei quali sono destinati al Campo di Fossoli. Questo finanziamento, unitamente al milione di euro stanziato dalla Regione Emilia-Romagna e ai 500mila euro dalla Presidenza del Consiglio, rappresenta un punto di svolta nella tutela e nella valorizzazione del Campo di Fossoli. A questo luogo della Memoria sono stati destinati 3 milioni e mezzo di euro, di cui una piccola parte, 240mila euro, per la progettazione, e la gran parte per la realizzazione pratica delle opere. Ci saranno le condizioni economiche per poter, finalmente, mettere mano a specifici interventi di tutela e salvaguardia (tra i quali illuminazione della struttura, approvvigionamento idrico e sistemazione della pavimentazione). I “Grandi progetti per i beni culturali” sono una innovazione strategica nelle politiche culturali, introdotta nel 2014 e le cui risorse sono state aumentate con la Legge di stabilità 2016, che aveva stanziato ulteriori 30 milioni per la tutela del patrimonio culturale. A questo piano il ministro Dario Franceschini, in questi anni, ha lavorato con determinazione, in raccordo con le Regioni e gli Enti locali, per selezionare i 17 interventi da finanziare con priorità. Come carpigiana e come componente della Commissione Cultura non posso che esprimere soddisfazione perché, finalmente, il Campo di Fossoli, luogo simbolo della Memoria del ‘900 italiano ed europeo, potrà essere valorizzato come avevo da tempo auspicato.
Don zeno sfida il governo e con i suoi ragazzi demoliscono la recinzione del Campo di Fossoli

Nel 2013, infatti, ho presentato un progetto di legge per la “Dichiarazione di monumento nazionale del Campo di concentramento di Fossoli e misure di sostegno per le attività della Fondazione ex campo di Fossoli”. Ora quel progetto trova, di fatto, realizzazione attraverso il canale innovativo del piano strategico. Come istituzioni locali e come carpigiani siamo sempre stati consapevoli della responsabilità storica e morale di avere sul nostro territorio un luogo della Memoria di così alto valore e vi abbiamo sempre fatto fronte; altresì siamo sempre stati convinti che il Campo Fossoli non costituisca un monumento solo carpigiano, ma rappresenti un pezzo significativo della storia nazionale».
Alcuni profughi istriani e i loro discendenti si domandano come verranno spesi tali finanziamenti.
Maestra e scolari al Villaggio San Marco di Fossoli, Carpi, Modena
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Una testimonianza su Pirano e su Gorizia
«A Gorizia si passava il confine solo con il passaporto – racconta Mario Dugan, fino all’adesione della Slovenia all’Unione Europea, avvenuta nel 2004 –.  L’ultima volta che sono andato a Gorizia – aggiunge – è stato l’11 giugno 2017. Sulla stele, vicino al vecchio confine tra Italia e Jugoslavia, è scritto: “Dal 1947 al 2004”. In effetti dal 1947 al 2004 lì c’erano la sbarra e il filo spinato. Io sono nato e abitavo a Pirano, che era chiamata “Zona B”. Dal 1945 eravamo sotto protettorato alleato. Per andare a Trieste, sul confine di Rabuiese, tra la “Zona A” e la “Zona B” bastava avere la carta d’identità. Dal 10 ottobre 1952 al 5 ottobre 1954, siamo stati chiusi completamente, diciamo come in tempi moderni a Gaza. Con il Memorandun di Londra del 5 ottobre 1954 potevamo andare a Trieste con un lasciapassare. Si poteva andare nella “Zona A” per quattro volte al mese. Potevamo rimanerci all’inizio per 48 ore e, dopo qualche anno, per 72 ore.
Sono andato via da Pirano il con il lasciapassare il 20 maggio 1960. Ci sono ritornato nel mese di ottobre del 1964. Ho dovuto fare il passaporto italiano e avere il visto. Non vi dico i controlli che facevano gli slavi alla frontiera. Molte volte le persone venivano spogliate, biancheria intima compresa. Buona giornata».
Paolo De Luise con una fotografia dei suoi cari, vicino ai resti del Villaggio San Marco, di Fossoli, nel 2017 
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Fonti delle testimonianze dirette
Si è grati, per le informazioni su Pirano e Gorizia a: Mario Dugan, nato a Pirano nel 1942. Vive a Marina di Ravenna, provincia di Ravenna. Messaggio in Facebook del 2 luglio 2017.

Si ringrazia, per i dati e le fotografie sul Villaggio San Marco di Fossoli di Carpi: Paolo De Luise, nato a Pirano nel 1949. Vive a Carpi, provincia di Modena. Messaggi in Facebook e telefonate del 13-14 luglio e del 22 settembre 2017.
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Servizio giornalistico e di networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e di E. Varutti.

martedì 26 settembre 2017

Congrès a Mueç pe Societât Filologjiche Furlane pal 2017

Nol è facil di viodi une sale plene di int cu la bocje vierte in scolte dal relatôr e cence nissun a sgarfâ tal telefonut celulâr. Al è capitât a Giovanni Frau, professôr emerit de Universitât dal Friûl, tant che al fevelave di “Mueç, paîs di lenghe furlane cun non di origjine slave?”.
Di çampe: Diego Navarria e il sindic di Mueç Giorgio Filaferro. A drete: Sergio Bolzonello

Al è stât cussì clâr e brâf a displeâ che invezit il non di Mueç al ven dal latin “Modium”, che al jere une misure agrarie. Dopo la peraule e je passade dentri la antighe lenghe sclave e cussì al somee che Mueç e sedi di divignince di di la dal Lusinç. Mueç al è “Moggio Udinese” par talian.
Al jere un plasè viodi ducj atents: i sorestants in prime file, dongje di un grup di alpins cul cjapiel poiât su lis gjambis e daûr dute la int di Mueç e de Filologjiche, cun tancj di lôr in pîts, parcè che a erin finidis lis cjadreis. Sergio Bolzonello, vice president de Regjon Autonome Friûl Vignesie Julie, di tant che al jere interessât de lezion di Frau al cjapave note su un sfueut tant che un Remigjin tal prin dì di scuele. A dimostrazion che Frau cuant che al cjacare, ce tant che al è brâf, al cjape il cûr, prime che il cerviel.
Si è davuelzût cussì a Mueç il 94in congrès de Societât Filologjiche Furlane, nassude a Gurize tal 1919. Si che duncje al si svicine il 100in inovâl de socie.
Dut al è scomençât te Badie di San Gjal cu la Sante Messe in marilenghe di Bonsignôr Guido Genero, cul compagnament de Corâl di Sante Marie Maiôr di Spilimberc direzude dal mestri Ilvia Mulloni. La basiliche e jere sglonfe di int, cuntune coriere molade la fûr tal parc des machinis, di tante int che e jere vignude.
Bons. Guido Genero te Basiliche di Mueç

Aes 11, inte sale polifunzionâl “R. Treu” di Vie Rome, e à tacât il congrès cul salût dai sorestants. Al à cjacarât par prin Giorgio Filaferro, sindic di Mueç, un tic emozionât par saludâ lis autoritâts presints. «E je la prime volte che o feveli par furlan in un event public – al à dit il sindic – e mi visi che cuant che o jeri zovin o fevelavi in marilenghe e mi domandavin, par cjolimi intor: di dulà sêstu cun che fevelade?» Dopo al è intervignût Renato Valent, president de Pro Loco di Mueç, un grup che al à tant lavorât pe zornade dal congrès.
Adriano Lucci, president dal ent “Friuli nel Mondo”, nassût di une cueste de Societât Filologjiche Furlane, al à dit che la colaborazion tra i ents e à di jessi ancjemò plui fuarte.
La Corâl di Sante Marie Maiôr di Spilimberc direzude dal mestri Ilvia Mulloni

L’intervent centrâl al è stât la relazion dal professôr Federico Vicario, president de Societât Filologjiche Furlane. «E propri pensant ae unitât de comunitât furlane – al à dit Vicario – us dîs, prime di dut: biade l’ore! Sì, biade l’ore che il Senât al à votât la norme par fâ tornâ Sapade te sô regjon storiche e naturâl, valadî il Friûl – no sai se al è il câs di comentâ il fat che l’unic vôt cuintri a cheste risoluzion (rispiet ai 187 a pro e ai siet o vot astignûts, se mi visi ben) al è stât chel di un senadôr elet in Friûl (no dîs ch’al è “furlan”, parcè che no sal merte)».
«O saludi ancje altris rapresentants di istituzions furlanis – al à zontât Vicario – ch’a son chi cun nô, il President des Prolocos, Valter Pezzarini, il Delegât pe lenghe furlane de nestre Universitât, l’amì Enrico Peterlunger, il President dal ARLeF, Lorenzo Fabbro, il President de Assemblee de Comunitât lenghistiche furlane, Diego Navarria, dutis istituzions simpri dongje al nestri Istitût par ativâ colaborazions e inviâ progjets a pro de comunitât. Il discors de colaborazion cu la Fondazion Friûl al è impuartant, fondamentâl par nô. Us conti dome chest fat. Joibe e vinars – îr l’altri – o jeri jù a Triest pe cunvigne anuâl de Associazion dai Istitûts di culture d’Italie, l’AICI, la cunvigne “Italia è Cultura. La cultura e l’identità europea” inmaneade cu la poie dal Ministeri pai Bens culturâi e cul jutori de nestre Regjon – e chi o vin di ringraziâ l’Assessôr ae Culture Gianni Torrenti, che lu saludi ancje lui. In ocasion de Assemblee di cheste Associazion, ch’e conte passe cent istitûts e fondazions di culture in dute Italie, mi àn invidât a tignî une relazion di salût, par dâ il benvignût te nestre Regjon tant che President dal unic istitût associât, apont, a cheste organizazion»
Di çampe: Giovanni Frau, Federico Vicario, Giorgio Filaferro, Bruno Lucci e Giuliana Pugnetti

Scoltant di Sapade che e à di tornâ tal Friûl, no i pareve vêr a Bolzonello che alore al à fevelât par tirâ dongje in Friûl i Comuns dal Mandament di Puart, che a jerin tal teritori dal Patriarcjât di Aquilee e dopo cu la Diocesi di Concuardie Pordenon. Sore di dut Bolzonello al à fevelât ben de “Setemane de Culture Furlane” prontade de Filologjiche cun cetancj grops, parochiis, scuelis, bibliotechis e ents locâi, ancje di fûr dal Friûl, par sclarî la impuartance de marilenghe e des lidrîs de nestre divignince cun 121 apontaments. In sale a erin ancje Franco Iacop, president dal Consei regjonâl e Gianni Torrenti, assessôr ae Culture de regjon. «Une biele patulie regjonâl» al à dit cualchidun.
A chest pont al è stât presentât il Numar Unic “Mueç” par cure di Giuliana Pugnetti e Bruno Lucci, un libri plen di gnovis sul paîs cussì dongje de Cjargne. Il libri al è stât une vore agradît dal public.
La sale sglonfe di int

Dopo si è passât a dâ il Premi “Andreina e Luigi Ciceri”, XVIII edizion, pal concors di scrits e materiâi multimediâi sui aspiets de culture e dal teritori dal Friûl. Inte sezion dai “Scrits” a son stâts premiâts Claudio Cotrufo, cul titul: “Materiali costruttivi nella pedemontana orientale nel Medioevo. L’utilizzo della pietra nelle valli del Grivò e del Malina”. Une premiade ancje di colôr di rose cun Annalisa Baldassi, cul titul: “Il quaderno d’imbreviature del notaio Giorgio Dell’Oste da Codroipo, 1370-1372. Studio ed edizione”.
Inte sezionMateriâi multimediâi” a àn cjapât il premi Dorino Minigutti e Giorgio Cantoni cul lavôr dal titul: “Int/Art A la serie: musiche”.
Alpins in prime file

Il gustâ in compagnie si è tignût li dal ristorant “Al Kampo” e, stant che no erin plui puescj, ancje tal albierc ristorant “Al Leon Bianco”, par passe 170 di lôr.
Dopo di gustât, a lis cuatri a si fasevin lis visitis ae scuvierte dal teritori: 1) al complès abadial (Badie e Anticuarion). 2) Mostre “Mario Micossi. Opere a Moggio e dintorni” inte Tor medievâl. 3) Mostre “Moggio Udinese nella Grande Guerra. L’inattesa svolta 1917-1923”, li de viele scuele elementâr.
Apontament pal 2018, cul 95in congrès, a Colorêt di Mont Alban!
Une schirie di sorestants. Tal mieç de foto: Sergio Bolzonello
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Par cui che al à voie di viodi, in marilenghe, dute la relazion di Federico Vicario fracait culì.
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Servizi gjornalistic, fotografic e di butâ dentri in Internet ("networking") par cure di Elio Varutti
L'intervent par talian di Sergio Bolzonello, sot dai voi di Giovanni Frau

Federico Vicario, Gianni Torrenti, assessôr ae Culture de regjon, e i premiâts "Ciceri 2017" Dorino Minigutti e Giorgio Cantoni

Chei dal Premi “Andreina e Luigi Ciceri” cun, a drete, Sergio Bolzonello: di çampe, Dorino Minigutti, Giorgio Cantoni, Annalisa Baldassi e Donatella Cozzi, president de Jurie

Federico Vicario intervistât de RAI regjonâl al congrès di Mueç

Mueç 2017 - Lis frutis de segretarie de Societât Filologjiche Furlane: di çampe, Elena De Sanctis, Alessandra Piani, Marilena Desio e Daniela Piva. In altris peraulis a son dome un toc dal "staff", cognossudis tant che "Lis Marilenis". Par esempli al mancje il Diretôr de Filologjiche, Feliciano Medeot e altris

La glesie sglonfe di int

Ducj cidins, che al fevele Giovanni Frau, clâr tant che la aghe

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Rassegna stampa.


lunedì 25 settembre 2017

Bonetti, ANVGD, parla di italiani, croati e serbi di Dalmazia. Conferenza a Udine

Oltre 25 persone hanno seguito la conferenza di Bruno Bonetti, segretario dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine. 
Bruno Bonetti, a sinistra, Bruna Zuccolin e Elio Varutti. Fotografia di Fulvio Pregnolato

L’incontro formativo, di dimensione europea, si è tenuto a Udine, sabato 23 settembre 2017, presso la sala San Cristoforo, in Vicolo Sillio 4/b. L’iniziativa aveva per tema “La Dalmazia. Croati, serbi e italiani”. È stata organizzata dall’ANVGD di Udine, in collaborazione con i Comitati Provinciali dell’ANVGD di Trieste, Gorizia e Pordenone. Era dagli anni 1960-1970 che non si svolgevano iniziative comuni tra i quattro organismi ANVGD operanti in Friuli Venezia Giulia. Hanno collaborato all'iniziativa il Club UNESCO di Udine, ERAPLE e EFASCE.
Ci si potrebbe chiedere come mai Bonetti si sia occupato di tale questione. Ebbene la risposta sta nei legami familiari e nella ricerca delle radici da lui condotta nella Croazia di oggi nell’Archivio arcivescovile di Zara, nell’Archivio di Stato di Zara e nell’Archivio di Stato di Spalato, oltre che presso i vari parenti croati.
Una parte del pubblico in Sala San Cristoforo a Udine per la conferenza dell'ANVGD. Fotografia di Fulvio Pregnolato

Ha aperto la riunione Bruna Zuccolin, presidente dell’ANVGD di Udine, ricordando l’opera del compianto presidente Silvio Cattalini, esule da Zara, per il dialogo e la pacificazione tra le due sponde dell’Adriatico. 
La Zuccolin ha poi voluto accennare ai prossimi appuntamenti del sodalizio degli esuli. Si va dalla gita in pullman a Pirano, Parenzo e Isola d’Istria, sulle orme di Beato Odorico da Pordenone, programmata per il 30 settembre 2017, poi ci sono due conferenze per presentare il libro di Franco Fornasaro, con avi istriani, intitolato Gli appunti di Stipe, edito dall’ANVGD di Udine nel 2015. 
Il primo incontro culturale si terrà il 5 ottobre 2017 a Pasian di Prato, presso la Biblioteca “Pier Paolo Pasolini”, alle ore 18. La presentazione del volume di Fornasaro sarà replicata poi a Martignacco il 27 ottobre 2017, presso la Biblioteca “Elsa Buiese” a Villa Ermacora, alle 20,30.
Una parte del pubblico in Sala San Cristoforo a Udine per la conferenza dell'ANVGD. Fotografia di Fulvio Pregnolato

Ha poi avuto la parola il professor Elio Varutti, vice presidente dell’ANVGD di Udine, per comunicare le attività del sodalizio nel campo di social media. Dal 15 febbraio 2017 è stata creata una pagina su Facebook, col nome “ANVGD Udine”, che conta 133 iscritti non solo dal Friuli, ma anche dall’Italia e dall’estero (Spagna, Francia, Croazia, Argentina, USA). Con tale strumento l’ANVGD di Udine è in contatto con le sedi consorelle di Gorizia, Trieste, Arezzo e con qualche socio di Pordenone. Da 16 settembre 2017 è stato allestito un profilo in Google con il nome di “ANVGD di Udine”, con 5 rubriche e vari “follower” (seguaci). Il 3 agosto 2017 è stato attivato un gruppo di Yahoo, con l’appellativo di “Amici di ANVGD di Udine”; esso contiene vari materiali multimediali riguardo alle attività dell’ANVGD di Udine e dell’esodo giuliano dalmata.
Ha poi preso la parola Bruno Bonetti tra l’attenzione totale dei presenti, per descrivere i rapporti politici, sociali e umani nella Dalmazia lungo i secoli, con particolare attenzione all’Ottocento e al Novecento e con dei riferimenti specifici alle componenti etniche di italiani, croati e serbi. Bonetti, utilizzando decine di diapositive e documenti, ha contestato certi storici croati i quali sostengono che gli italiani siano arrivati sulla costa dalmata da fuori. «Alcuni miei antenati – ha detto il relatore – sono arrivati sì dalla pianura Padana, ma nel 1100 e vari lustri dopo; come si fa a dire che è di fuori uno che ha gli avi vissuti a Zara, Spalato e sulle isole dalmate da svariati secoli. Allora che ci fanno i bosniaci e i macedoni stabilitisi a Zara, Sebenico e a Spalato nel 1945 con le truppe titine?»
Una parte del pubblico in Sala San Cristoforo a Udine per la conferenza dell'ANVGD. Fotografia di Fulvio Pregnolato

Poi il relatore si è soffermato sul dramma della nazionalità sviluppatosi tra Luigi Bonetti di Zara (1847-1934), uomo tutto d’un pezzo e di sentimenti italiani e Lorenzo Bonetti di Spalato (1837-1916), un tipo libertino e di sentimenti croati. Questi fratelli Bonetti vivono ambedue sotto l’Impero Austro-ungarico, ma si schierano su ambiti nazionali diversi e, come ci dice la storia, addirittura opposti. Come mai ci sono così tanti italiani in Dalmazia a Spalato, Sebenico, Traù… e sulle isole di Lesina, Brazza? 
Essi costituiscono una minoranza del 10 o 20 per cento rispetto alla popolazione. Il fatto è che la lingua italiana (o meglio il dialetto veneto istro-dalmatico) in Dalmazia era usata nel Settecento e nei secoli precedenti sotto la Serenissima Repubblica di Venezia. Poi, sotto l’Austria, rimane lingua ufficiale, assieme al tedesco, fino al 21 luglio 1883, quando gli Asburgo pensano di favorire i croati, in funzione anti-italiana, imponendo il croato al posto dell’italiano. Nel 1909 il croato diviene obbligatorio, pena il licenziamento dei dipendenti statali. Si tenga presente che a Pola, Gorizia, Trieste, Cervignano e Monfalcone, sotto l’Austria, la lingua ufficiale era il tedesco.
Una parte del pubblico in Sala San Cristoforo a Udine per la conferenza dell'ANVGD. Fotografia di E. Varutti

Bonetti ha poi descritto il primo esodo degli italiani, poco conosciuto. Già perché, dopo la vittoria mutilata, Sebenico, Spalato, Traù, Lesina… passano sotto il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni. Nel 1921 alcune migliaia di italiani di quelle località dalmate scappano verso Zara, Pola e Lussino, che entrano a far parte del Regno d’Italia. Un altro esodo di frange di italiani di Dalmazia avviene nel 1929 quando i croati nazionalisti spaccano le vetrine dei negozi e devastano le attività economiche degli italiani rimasti. Fu così che i Damiani dell’Isola di Curzola fuggono verso Lussino, i Cattalinich si erano già spostati coi cantieri da Traù a Zara, altri Cattalini sono a Fiume.
La conclusione del relatore è che l’Austria-Ungheria ha svolto una politica anti-italiana a favore dei croati, perciò iniziano a rovinarsi i rapporti tra le componenti etniche in Dalmazia, fino ad arrivare agli orrori del Novecento, con i campi di concentramento, le foibe del 1943-1945 e la guerra dei Balcani degli anni Novanta.
Poi si è aperto il dibattito tra il pubblico. Eda Flego, esule da Pinguente, componente del Comitato Esecutivo dell’ANVGD di Udine, oltre a complimentarsi col relatore lo ha spinto a scrivere, in modo che resti memoria delle sue importati parole. Secondo la signora Daria Gorlato, esule da Dignano d’Istria, la conferenza di Bonetti costituisce una bellissima lettura per chi non conosce certe parti della storia. Sergio Satti, esule da Pola, pure lui componente del Comitato Esecutivo dell’ANVGD di Udine, ha accennato al coraggio di fare verità storica, come ha fatto il relatore, senza scendere in polemiche politiche che rendono aspra la situazione.
Gli altri presenti hanno allora approfittato per fare “quatro ciacole” con i soci dell’ANVGD di Udine.
Bruno Bonetti alla conferenza sul "La Dalmazia. Croati, serbi e italiani" a Udine. Fotografia di E. Varutti
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Sitologia

Rassegna stampa
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Servizio giornalistico e di networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e di E. Varutti. Fotografie di Fulvio Pregnolato e di E. Varutti.

venerdì 22 settembre 2017

Fiorella Capolicchio, di Pola. Dai Campi profughi campani alla Svezia

La signora Fiorella Capolicchio, classe 1941, tra settembre 2015 e dicembre 2016, ha raccontato la vicenda del suo esodo istriano nel profilo Google intestato al suo nome. Il suo certificato di cittadinanza italiana rilasciato dal Comune di Pola “per uso esodo” è del 30 dicembre 1946, col piroscafo Toscana. 
Nel febbraio 1947 ha inizio il valzer dentro e fuori dai Centri Raccolta Profughi (CPR) e i Centri dell'International Refugeé Organisasion (IRO). Tra le varie tappe del suo peregrinare si ricordano i Centri di Bergamo (Gandino) e della Campania (Bagnoli, Capua, Carinaro, S. Antonio di Pontecagnano). Lei studia e si fa una professione, dato che ricopre il ruolo di aiuto infermiera all’ambulatorio del Centro rifugiati di Carinaro, provincia di Caserta. Entra da bambina in un Campo Profughi, con la famiglia. Vi rimane fino al 1962 quando, raggiunta la maggiore età, decide autonomamente di andarsene dall’Italia, partendo da Napoli. In Svezia giunge con passaporto turistico italiano nel 1963, poi lavora lì fino alla meritata pensione. Oggi vive a Göteborg.
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Ringrazio per la diffusione delle fotografie e dei testi, selezionati dallo scrivente, ove non specificato diversamente, la signora Fiorella Capolicchio, nata a Pola il 31 marzo 1941, pensionata, che vive in Göteborg (Svezia). 
I titoli dei paragrafi sono a cura di E. Varutti. Ecco il racconto di Fiorella Capolicchio, contattata, via social media, il 19 e 20 settembre 2017, dall'Autore. 

La didascalia, in sovrimpressione, è della signora Fiorella Capolicchio, prima a destra. Collezione Fiorella Capolicchio di Pola, ora a Göteborg (Svezia)


Partire da Pola, 1947
«Dovevamo partire e basta! Disse mia madre con l’ultimo nato in braccio e poi aggiunse;Metti scarpe e calze e asciuga quelle lacrime che non abbiamo tempo per la tristezza, il carro aspetta e la nave è in porto, la nostra via è segnata Si, ma quelle parole a me bambina non dicevano molto. Quello che più di tutto mi aveva fatto preoccupare erano, le scarpe e le calze. Proprio così, aveva detto la mamma. Bisognava obbedire e non perdersi in piagnistei.Anche se il fratellino più piccolo stava al caldo in braccio alla mamma ed io invece seduta per terra dovevo fare tutto da sola. Le sedie e i letti erano ammucchiati in mezzo alla cucina, avremmo anche portato via lo “spacker” (la foghera de ghisa) che aveva fatto mio padre.
Ubbidire e basta, così mi hanno insegnato, e in quel di febbraio 1947, tutti abbiamo obbedito alla cattiva sorte.
“Metite scarpe e calse” (mettiti scarpe e calze) mia madre aveva detto scarpe e calse proprio in questo ordine mi ripetevo nella mente, bisognava ubbidire senza indugi, ma poi mia madre dovette aiutarmi a togliere la calza che io con grande fatica avevo messo sopra la scarpa…
Ubbidire, come quando i tedeschi avevano minato la casa per farla saltare, quando eravamo sfollati a Capodistria ed io volevo tornare indietro per la scarpa persa, mia madre con il piccolo in braccio e le pallottole dei partigiani sopra la testa aveva gridato dal canale sotto il filo spinato, "lassa star la scarpa” (lascia stare la scarpa).
Avevo ubbidito stringendo forte la mano di mio fratello maggiore, continuai a correre con il piede nudo nel fango, tra corpi ammazzati, mentre io mi preoccupavo per la scarpa, la casa minata era saltata in aria, noi invece fummo salvi al riparo del canale che era un buco di fogna.
Una notte dopo i bombardamenti su Pola tornati dal rifugio e non potendo slegare il laccio di una scarpa mia madre disse: “Va a dormir con la scarpa” (dormi con la scarpa). Mi era sembrato molto strano appoggiare la scarpa sporca di fango sul bianco delle lenzuola, vinse il sonno.Sono cresciuta timida e ubbidiente qualità valide solo se in ambiente familiare, ma devastanti per chi è esule, in giro per il mondo».
Particolare del Certificato di cittadinanza italiana del Comune di Pola, del 30 dicembre 1946, intestato a Fiorella Capolicchio, rilasciato "per uso: esodo". Collezione Fiorella Capolicchio di Pola, ora a Göteborg (Svezia)

Al CRP di  Gandino nel 1947, al posto delle galline
«Gandino, in provincia di Bergamo, primo Comune di residenza dopo l'esodo da Pola nel febbraio del 1947.
Nel cassetto del comò dove era stata messa la bambolina di pezza con il vestitino a quadretti rosso e blu spedita dalla zia materna, quel giorno la bambina ci trovò una nidiata di topolini e c'era anche la muffa.
In quell'ala del vecchio lazzaretto, (in paese chiamavano così il vecchio ospedale), le suore fecero sgombrare le galline per far posto a noi esuli. Un muro sottile ci separava dalla camera mortuaria da dove si sentiva il pianto dei parenti del morto di turno.
Oltre la strada che portava all'ospedale c’era un prato in discesa poi un’altra strada separava il prato dall'asilo gestito da suore, la stessa che portava a Monte Farno e all’osteria Macallè dove mio padre a volte mandava il mio fratellino a comperare il vino. Ma di sera con il buio lui di quattro anni aveva paura di andarci da solo ed io sei anni dovevo andare con lui perché in due ci si faceva coraggio. In principio mio padre lavorava come guardiano notturno in una fabbrica tessile, ma la fabbrica fallì e lo pagarono dandogli delle coperte che mio fratello maggiore cercava di vendere.
Eravamo in sette e mia sorella quattordicenne era l'unica che lavorava nella fabbrica tessile di Leffe, ma la paga non bastava e ci andava a piedi per risparmiare i soldi della corriera. Così che tornando a casa con le vesciche ai piedi per le scarpe troppo grandi a volte neanche la cena trovava. A volte mia sorella portava a casa dalla fabbrica il dopo lavoro, grandi rotoli di frangia per copriletto da rifinire a mano con ciuffi come guarnizione. I miei due fratelli più grandi di undici e diciassette anni che aiutavano mio padre, facevano a gara a chi rifiniva più metri di frangia di copriletto oltre ai metri imposti da mio padre in un periodo di tempo stabilito.
Volendo imparare anch'io e gareggiare con loro, dopo di aver tanto insistito presi posto ad un lato del tavolo dove su tanti chiodini in fila vi era attaccata parte della frangia da rifinire, dai chiodini si toglieva parte di frangia rifinita che veniva arrotolata e penzolante posta in una cesta a sinistra dopo che mio padre aveva contato i metri rifiniti dei miei due fratelli, nuova frangia da rifinire prendeva posto sui chiodini dal rotolo di destra. Tra un lato del tavolo e l'altro c'erano i metri stabiliti da mio padre che ognuno doveva fare in fretta in modo di poter spostare il tutto di quel lavoro a catena con nuovo metraggio.
Fiorella Capolicchio sulla vespa davanti al Centro Raccolta Rifugiati di Carinaro, provincia di Caserta, di cui si intravvede il Corpo di guardia. Collezione Fiorella Capolicchio di Pola, ora a Göteborg (Svezia)

Se il lavoro era fatto male si doveva disfare e si perdeva tempo. Fu così che quando mio padre in piedi contava i metri di frangia rifiniti suoi e dei miei fratelli usando come misura di metro la lunghezza dalla spalla sinistra alla mano del braccio destro allungato, non poteva finire il conteggio visto che al mio lato del tavolo non avevo finito il metro di frangia assegnatimi. Come castigo per aver tanto insistito senza poi essere all'altezza di quel lavoro a catena mi arrivò il frustino sulla coscia sinistra. Il frustino era un rametto lungo e sottile. Guardai poi atterrita la conseguenza del castigo inflittomi. Una ferita rossa e blu mi attraversava la coscia. Capii che i miei fratelli non facevano a gara per gioco, ma contro la promessa di quel frustino che mio padre teneva a fianco durante il lavoro.
L'ala del lazzaretto aveva tre portoni tramite i quali vi si accedeva alle due stanze divenute nostra dimora, il nostro portone era vicino al muro che faceva angolo con il muro del giardino del lazzaretto, dal portone di mezzo alle camere di due famiglie esuli come noi, ed il terzo portone sulla facciata portava alla camera dove il contadino Servali teneva il fieno. Il muro del fienile non arrivava fino al tetto in modo che noi bambini salivamo sul muro e da lì saltavamo sul fieno, divertente e proibito. Dall'altra parte del muro si potevano vedere i fiori artificiali che le ammalate del reparto tubercolosi sotto cura delle suore dell'ospedale preparavano per la processione della madonna Pellegrina.
A giugno del 1947 mia madre diede alla luce il suo sesto figlio. Una sera mio padre e mia madre uscirono in gran segreto con la borsa della spesa, era la vigilia di natale, rimasti soli noi piccoli con i fratelli più grandi, uno di loro ci svelò il gran segreto: mamma e papà andavano a prendere il regalo di natale per i figli degli esuli visto che Babbo Natale non esiste. Ricordo sì la delusione, ma mai dimentico la gioia all'indomani quando al nostro risveglio trovammo sul letto di ognuno di noi un grande piatto di alluminio pieno di noci mele e mandarini. Ancora oggi per me ormai non più credente noci mele e mandarini sono i soli simboli gioiosi del Natale rimastimi».
Vittorio, Fiorella e Galliano nel giardino della Scuola Elementare di stato Via Cesare Battisti, a Gandino (Bergamo). Primo comune di residenza dopo l'esodo del 1947. Collezione Fiorella Capolicchio di Pola, ora a Göteborg (Svezia)

Il senso della patria perduta. Centro rifugiati di Carinaro
«Tutti gli anni il 4 novembre attraverso il filo spinato che recintava il campo profughi di Carinaro, provincia di Caserta, si poteva vedere un piccolo gruppo di vecchine vestite di nero con scialle in testa, radunate davanti al Monumento ai caduti del 1915-18.
E tutti gli anni attratta dalla banda musicale che suonava la canzone del Piave e l’Inno Nazionale, Fiorella correva verso il cancello per uscire dal campo profughi e raggiungere il monumento dall’ altra parte del filo spinato, per partecipare alla commemorazione di quella storia che le apparteneva.
Fiorella era stata sempre l’unica profuga davanti al monumento ai caduti il 4 novembre. Sua madre non le avrebbe mai permesso di uscire da sola fuori dal campo, e tutti gli anni senza dire nulla a nessuno d’impulso seguiva il richiamo della musica del Piave, che le faceva muovere i suoi passi verso il monumento per unirsi al dolore di quelle donne che tenendo alti i cartelli con foto ricordavano i loro morti, caduti per la Patria.
Quella Patria che per Fiorella ormai era per sempre perduta, anche se allora era troppo piccola per poterlo capire.
Da Carinaro a S. Antonio di Pontecagnano. Sul camion viaggiava la famiglia che dal campo di Carinaro in provincia di Caserta veniva trasferita al Centro raccolta profughi stranieri di S. Antonio di Pontecagnano, in provincia di Salerno.
Amici accompagnano Fiorella, a destra, in partenza per Napoli, finalmente maggiorenne: addio Campi profughi! Collezione Fiorella Capolicchio di Pola, ora a Göteborg (Svezia)

Al Campo Profughi di Sant’Antonio in Pontecagnano, 1961
«E come nei villaggi o piccoli paesi regnavano le chiacchiere e gli uni sparlavano degli altri, le donne in fila, divertimento quotidiano, si passavano le prime del mattino oppure le ultime della giornata.
Esse si raccontavano di tutto, anche storie e storielle che in quegli anni potevano essere considerate improprie agli orecchi dei ragazzi che accompagnavano le madri in fila davanti alla mensa in attesa di apertura. Storie velate però in modo che solo i più smaliziati avrebbero capito.
Storie e storielle erano diventate noiose perché erano sempre le stesse ed ormai non appassionavano più, ed i pettegolezzi avevano lasciato il posto allo sdegno collettivo per la riprovevole situazione creatasi ultimamente, già da prima si sapeva dei rifornimenti di verdura che prendevano vie diverse, senza passare neanche il deposito viveri della mensa del campo profughi.
Avevano spostato i pochi rimasti nelle baracche vicino alla nuova direzione e poco distante dalla baracca magazzino da dove prima si distribuivano vestiti estate / inverno ma che ultimamente non si distribuivano più.
Eravamo agli ultimi sgoccioli, in un tardo pomeriggio di fine settimana si vedevano gli impiegati della direzione uscire dal magazzino ad intervalli di pochi minuti che con il viso nascosto nel bavero della giacca e con un pacchetto sotto il braccio.
Passando ogni limite di sfacciataggine, pur con il viso nascosto ormai rubavano a cielo aperto. Tuttavia quel quadretto idillico ora parte del passato dell’allora diciottenne riaffiorando nella mente rimane esempio di come la vita può regalare momenti armoniosi anche in tempi difficili».
Che prima o poi ci avrebbero trasferiti in un altro campo profughi stentavamo a crederci, visto che negli ultimi anni avevano costruito una nuova direzione per gli uffici con servizi igienici moderni e termosifoni per gli impiegati che si erano lamentati per il mancato riscaldamento nella vecchia direzione nel periodo invernale.

Speravamo che come cittadini italiani quelle due case, che avevano costruito all'interno del muro di cinta del campo profughi che dava sulla strada nazionale per Battipaglia, fossero state costruite per noi esuli. Noi eravamo tra quelli finiti nei centri rifugiati del dopoguerra per scopo emigrazione, ma mai emigrammo.
Pola, cartolina con vista giardini e Banca d'Italia, anni 1930. Si ringrazia per la diffusione e pubblicazione: Archivio storico digitale Patria Italia

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Sitologia
Per un approfondimento sul senso della patria perduta, per degli esuli da Fiume, vedi: E. Varutti, “La patria perduta. Profughi da Fiume, 1943-1947”, nel web dal 23.02.2016.