domenica 30 luglio 2017

Częstochowa, luogo di pellegrini europei

Il pullman di Boscolo Tours ci fa scendere nel parcheggio del santuario. Siamo alle pendici della Jasna Góra (Monte Chiaro), di appena un centinaio di metri. Prediamo l'ombrello oppure no? Basta la giacca, è aprile! 

Il santuario, in pietra bianca, è il più illustre della Polonia e tra quelli più visitati d’Europa. Il monastero fu fondato nel 1382, per accogliere i monaci Paolini cacciati dall’Ungheria. Ci aspetta una guida turistica locale e quando la vediamo, scopriamo che è una piccola suora, dal fare spartano. Risulterà molto chiara e utile alla visita, che per qualcuno è un pellegrinaggio.
La città di Częstochowa conta circa 250 mila abitanti. Nel passato si arricchì grazie alle vicine miniere di ferro, oltre alla buona posizione stradale. Congiunge, infatti, la Valacchia e la Rutenia con la Bassa Slesia e la Sassonia.
Qui c’è la sacra immagine della Madonna Nera, protettrice dei polacchi. Secondo la tradizione l’immagine fu dipinta da San Luca su un asse del tavolo di casa della sacra famiglia di Nazareth. Ritrovata a Costantinopoli la tavola dipinta arrivò in Rutenia, una regione storica tra Ucraina e Slovacchia. Di lì giunse a Jasna Góra.

Più probabile che il dipinto sia stato dato in omaggio ai monaci dal duca Ladislao di Opole nel 1384. L’icona pare sia stata dipinta poco prima in Italia da un maestro della Scuola di Simone Martini.
Nel 1430, durante la settimana santa, il quadro fu rovinato da alcuni banditi che avevano assalito il  monastero. Così Ladislao II il Jagellone lo fece restaurare. Un’altra versione degli eventi riporta che il re fece rifare l’opera troppo danneggiata dai predoni. I due sfregi ancora visibili sul viso della Santa Vergine furono incisi in memoria dell’oltraggio sacrilego.
Altri racconti riportano che durante un assedio seicentesco i monaci esposero la Madonna agli assedianti che sparando contro l’icona si videro tornare indietro le pallottole, così cercarono la fuga.
L’altare maggiore della chiesa è tardo barocco. Fu realizzato a Breslavia su progetto di Giacomo Antonio Buzzini nel 1725-1728. Nelle sale limitrofe alla chiesa sono esposti vari ex-voto portati dai fedeli nel tempo. Gli altri altari sono dello stesso periodo.
Qui vicino c'è un curioso Parco delle Miniature sacre, con la statua di Papa Giovanni Paolo II più grande  del mondo, alta 14 metri e di 10 tonnellate di peso.


Bibliografia

Veronica Cornelli, Polonia, Milano, Touring Editore, 2014.

Altare maggiore della chiesa in stile tardo barocco. 
Fotografia di Elio Varutti
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Altri link di miei articoli nel web:

- E. Varutti, Visitare Varsavia, 2017.

-  E. Varutti, Gita a Cracovia, 2017.


- E. Varutti, Auschwitz, luogo della Shoah, 2017.

- E. Varutti, Gita a Bratislava, 2017.

sabato 29 luglio 2017

Visitare Varsavia

Si arriva verso sera. L'accompagnatore italiano di Boscolo Tours ci avverte che la guida locale è simpatica e brava, ma ripete spesso che: "Qui ci sono stati combattimenti, tanti morti e distruzioni". Insomma non dovevamo impressionarci. La guida polacca non solo è brava, ma ci ha raccontato con un certo garbo e trasporto quello che hanno patito gli ebrei polacchi sotto la violenza dei nazisti. Gli ebrei uccisi dai tedeschi sono 450 mila. Una cifra impressionante. Forse non ha torto la signora di lamentarsi e di ripetere che: "Qui ci sono stati tanti morti...". Ascoltare e riconoscere i fatti storici è una sorta di omaggio ai caduti, a mio parere.
Si fanno le prime fotografie ai grattacieli moderni e al Palazzo della Cultura e della Scienza, che a Varsavia ha dominato lo skyline fino agli anni Novanta del Novecento. 
Il Monumento agli eroi della Rivolta del Ghetto di Varsavia, del 1948, particolare. 
Fotografia di Elio Varutti

È uno dei monumenti più vistosi della città. Da bambini lo vedevamo immortalato perfino negli album delle figurine. È stato costruito nel 1952-1955, su progetto dell’architetto russo Lev Vladimirovič Rudnev, essendo un regalo dell’URRS alla Polonia. Ricorda, infatti, lo stile staliniano, o del classicismo socialista dei palazzi istituzionali di Mosca in riferimento agli anni 1950-1960.
Palazzo della Cultura e della Scienza, del 1952-1955. Fotografia di Elio Varutti

Dopo il 1989, data del crollo del vecchio regime socialista, ci sono molti grattacieli in stile occidentale, che fanno apparire una parte della capitale polacca, che conta oltre 1,7 milioni di abitanti, come un qualsiasi angolo delle metropoli americane, europee o asiatiche moderne.
Che cosa vai a vedere Varsavia, che è stata rasa al suolo dai nazisti? – mi aveva detto un amico. In effetti per l’84 per cento i crucchi l’hanno tirata giù coi cannoni, con le bombe d’aereo, oppure con l’esplosivo. È stato un lavoro meticoloso, ordinato, preciso, roba da tedeschi, insomma. È che non sopportavano che i polacchi si ribellassero. Erano ritenuti dal loro capo coi baffetti, come Untermensch, cioè esseri sub-umani, come tutti gli slavi. Dovevano essi morire, non riprodursi o fare da schiavi ai tedeschi. Sembra una teoria bislacca, invece a Hitler credono in molti. Così è accaduto il macello della seconda guerra mondiale. 
Varsavia del Duemila

Nel 1940 gli occupanti tedeschi costruiscono un muro attorno ai quartieri abitati dagli ebrei polacchi. È il ghetto di Varsavia. Ammassano oltre 450 mila persone in una superficie di 300 ettari. Man mano che li facevano fuori nei campi di sterminio con le camere a gas, i tedeschi riducevano gli spazi del ghetto. Il 19 aprile 1943 i giovani ebrei del ghetto organizzarono una rivolta, atto disperato e senza speranze. 
I nazisti soffocano nel sangue la ribellione, uccidono molti ebrei combattenti e deportano gli altri nei campi di sterminio. Poi, indisturbati, radono al suolo un edificio, dopo l’altro. Dell’antico ghetto ebraico oggi resta poco e niente. Oggi è una zona tutta ricostruita, a ovest del ponte di Danzica. Siamo tra ulica Slomińskiego, ulica Generała Andersa, ulica Marszałkowska e aleje Jerozolimskie.
Monumento agli eroi del Ghetto di Varsavia, opera del 1948. Fotografia di Elio Varutti

I nazisti, tuttavia, hanno risparmiato dalla distruzione sistematica una sinagoga, perché serviva loro come magazzino. Sennò dove mettevano tutte le robe sequestrate agli ebrei, per rivenderle? Si trova in ulica Twarda al n. 6. È la Sinagoga Noźyków. Risale al 1898 e fu voluta dai coniugi Zalman e Rywka Noźyk, da cui il nome. Completata nel 1902 in un elegante stile neorinascimentale, subì dei restauri nel periodo 1977-1983. La sinagoga si trova in mezzo ai grattacieli sorti come funghi. Lì vicino c’è pure il Teatro statale ebraico.
Struggente è il Monumento agli eroi della Rivolta del ghetto di Varsavia. L’opera è stata eretta nel 1948 dallo scultore Natan Rapaport in collaborazione con l’architetto Marek Suzin. Il monumento si compone di due facciate, fronte e retro, con due differenti sculture. La scultura della facciata "principale" (quella davanti) è dedicata agli eroi del ghetto con in primo piano, fra gli altri rivoltosi, l'eroe del ghetto Mordechaj Anielewicz. 
Sinagoga Noźyków, del 1898 a Varsavia

La seconda scultura (di dietro alla facciata principale del monumento) rappresenta uomini, donne e bambini che lottano tra le fiamme che lentamente divorano il ghetto e una processione di ebrei condotti ai campi di concentramento, si intravedono solo baionette ed elmetti dei soldati nazisti senza volto. Copie identiche di ambedue le sculture si trovano anche allo Yad Vashem di Gerusalemme. Il percorso della Via della Memoria è segnato da 16 blocchi di granito, con iscrizioni in polacco, yiddish ed ebraico, che commemorano i 450.000 ebrei uccisi nel ghetto e gli eroi della rivolta.
Varsavia - Museo della storia degli ebrei polacchi. Fotografia di Elio Varutti

Lì vicino c’è il Museo della storia degli ebrei polacchi (in polacco: POLIN - Muzeum Historii Żydów Polskich). È un museo della memoria costruito tra il 2007 e il 2013. È sito nella zona ove sorgeva il ghetto di Varsavia nel periodo dell'occupazione tedesca, durante la seconda guerra mondiale. La parola ebraica polin nel nome del museo significa, in italiano, rispettivamente “Polonia” e, allo stesso tempo “riposo qui” ed è legata ad una leggenda sull’arrivo dei primi ebrei in Polonia.
Anche le scale mobili sono un regalo dell’URSS ai polacchi. Curiosa è la originale centralina di controllo delle stesse scale mobili oggi mostrata come un trofeo ai passanti.
Il barbacane a due torri è del 1548. Costruito da Giovanni Battista da Venezia a difesa della città vecchia. Sono visibili vasti tratti del doppio anello di mura del Cinquecento.

Varsavia gode di almeno cinque grandi parchi. Noi del gruppo di Boscolo Tours abbiamo visitato il Belvedere, con una guida locale molto attenta e coinvolgente nel raccontare con parole semplici i fatti storici e nel richiamare con un sacchetto di noccioline i numerosi scoiattoli che zampettano tra gli alberi del bel parco.  
Ecco il Belvedere di Varsavia. Fotografia di Elio Varutti

Archeologia industriale. Centralina di controllo delle scale mobili costruite dai russi a Varsavia

Varsavia, Hotel Bristol

Barbacane con due torri a Varsavia
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Altri link di miei articoli nel web:


-  E. Varutti, Gita a Cracovia, 2017.


- E. Varutti, Auschwitz, luogo della Shoah, 2017.

- E. Varutti, Gita a Bratislava, 2017.

venerdì 28 luglio 2017

Gita a Cracovia

Per svariati anni la città è stata la capitale della Polonia, quando essa era una superpotenza del continente. Tra le prime bellezze da vedere a Cracovia c’è la piazza del Mercato Principale. 
Piazza del mercato a Cracovia e la Basilica di Santa Maria. Fotografia di Elio Varutti

È una delle piazze medievali più grandi d’Europa. Nel mezzo della piazza sorge il Mercato dei Tessuti, lungo edificio gotico, rimaneggiato secondo gusti architettonici italiani, dopo un incendio del 1555.
L’impianto urbanistico del XIII secolo è rilevabile dalle aree verdi che hanno sostituito le mura turrite. Si notano le stradine strette tutte orientate al Rynek (il mercato). Poi c’è la fortezza che si erge sul colle di Wawel, presso il fiume Vistola. È lì che troverete la Cattedrale dei Santi Venceslao e Stanislao Vescovo, ritenuta come il più importante monumento senz’altro di Cracovia e, forse, di tutta la Polonia. 
La Cattedrale di Wawel

Nel Castello di Wawel è in esposizione il celebre dipinto di Leonardo da Vinci, Dama con l’ermellino, prima esposto nel Museo Czartoryski, nella Città Vecchia.
La città conta 755 mila abitanti. È situata a metà strada tra Vienna e Varsavia. Inoltre Cracovia è un grande centro commerciale e industriale (stoffe, pelli, macchine agricole, cartiere, editoria) e un importante snodo ferroviario. Nel 1978 l’UNESCO ha inserito il centro storico della città nella sua lista dei siti patrimonio dell’umanità.
Contiene molti monumenti ebraici (cinque sinagoghe e cimitero per gli ebrei), anzi c’è un intero quartiere che fu abitato da ebrei, fino alle stragi naziste. È il quartiere detto di Kazimierz, in onore di Casimiro III il Grande, che lo fondò come città autonoma nel 1335 con le sue mura difensive. 
Nel XV secolo il re Giovanni Olbracht vi raduna una grossa colonia ebraica. Qui affluivano tutti i giudei espulsi, in seguito a persecuzioni o a contrasti religiosi da altre città del Centro Europa. Era il paradiso degli ebrei. Fu così fino al 1941, quando i nazisti deportarono tutti gli abitanti verso i campi di sterminio. Oggi la zona ospita all’inizio dell’estate un festival, aperto a tutto il mondo, di cultura, di lingua, di cucina e di musica ebraica.
Cimitero e Sinagoga di Remuh, nel quartiere ebraico di Kazimierz a Cracovia. Fotografia di Elio Varutti

Interessante è il Cimitero ebraico, con l’annessa Sinagoga Remuh, risalente al Cinquecento. Accoglie tombe antiche con fini decorazioni scolpite. C’è ovviamente la tomba di Moses Isserles, detto Remuh, un rabbino molto apprezzato. Ancor oggi il suo sepolcro è oggetto di pellegrinaggi. La visita al ghetto di Cracovia prosegue con l’ottima guida turistica locale in lingua italiana, della Boscolo Tours.
C’è poi il Monumento di meditazione e di preghiera in memoria dei 65 mila polacchi ebrei di Cracovia uccisi dai nazisti nella seconda guerra mondiale.
Monumento di meditazione e di preghiera in memoria dei 65 mila polacchi ebrei di Cracovia uccisi dai nazisti nel 1941-1945

Una città di tanti padroni
È una città appartenuta a molti regnanti. Dopo la distruzione della Moravia Superiore da parte degli Ungheresi, Cracovia divenne parte del regno di Boemia: non a caso il primo riferimento scritto del nome della città è databile al 966. Tale documento ci riferisce di Cracovia come un notevole centro commerciale in mano ad un duca boemo. Alla fine del X secolo, la città era un punto di riferimento per i commerci, incorporata tra i possedimenti della dinastia Piast. Diversi edifici in muratura furono costruiti in quel periodo, tra i quali il noto Castello di Wawel, chiese romaniche come la chiesa di Sant’Adalberto, una cattedrale ed una basilica. La città fu quasi completamente distrutta durante le invasioni tatare della Polonia del 1241, 1259 e 1287.
La città fu ricostruita e resa municipio nel 1257, poi fu colonizzata da mercanti tedeschi. Poi continuò la sua espansione sotto il controllo congiunto lituano-polacco della dinastia Jagiellone, fino a diventare capitale del Regno di Polonia e membro della Lega Anseatica, attirando un numero consistente di artigiani, mercanti e gilde, provocando un notevole progresso scientifico ed artistico. Nel 1475 i delegati dell'elettore Giorgio il Ricco di Baviera vennero a Cracovia per organizzare il matrimonio di Edvige (Jadwiga Jagiellonka), la figlia del re Casimiro IV Jagellone con Giorgio il Ricco. Edvige viaggiò per due mesi per raggiungere Landshut in Baviera, dove fu celebrata una elaborata cerimonia, il Matrimonio di Landshut (Landshuter Hochzeit).
Costruzione ebraica nel ghetto di Kazimierz

Nel 1609 Sigismondo III trasferì la capitale a Varsavia, meglio situata per governare tutto il Paese. Per la mancanza della corte reale cominciò il declino di Cracovia, che poi venne anche numerose volte devastata da diverse armate. Al termine del XVIII secolo, lo Stato polacco, ormai indebolito, venne assorbito dalle nazioni vicine preponderanti dal punto di vista politico-militare nell'Europa centro-orientale: la Russia, l'Austria e la Prussia. Cracovia divenne parte della provincia austriaca della Galizia. Tadeusz Kościuszko organizzò una rivolta, nella zona del mercato di Cracovia nel 1794. 


Sinagoga alta

L'esercito russo-prussiano soffocò la rivolta saccheggiando il tesoro reale polacco conservato nella città. Quando Napoleone Bonaparte invase quella che una volta era la Polonia, stabilì un Ducato di Varsavia (1807) come stato indipendente, ma subordinato all'impero francese. Il Congresso di Vienna (1815) ristabilì la spartizione della Polonia, conferendo però l'indipendenza a Cracovia, come capitale della Repubblica di Cracovia. La città cominciò a concentrarsi sull'indipendenza nazionale, sfociata nella Rivolta di Cracovia del 1846. I moti non raggiunsero il loro obiettivo di coinvolgere le altre terre abitate da Polacchi, fu quindi soffocata e Cracovia perse la sua autonomia con la sua annessione all'Austria.
Il Castello e le tracce delle costruzioni antecedenti al Medioevo


La Sinagoga Vecchia di Cracovia, oggi museo


La Vistola fotografata dal colle di Wawel

Il cortile del Castello di Cracovia

Cracovia - La Chiesa di Sant'Andrea

Un bel giro in carrozza a Cracovia?


Cracovia, il Centro Congressi 

Centro congressi

Cracovia, Sinagoga di Isacco o Synagoga Izaaka

Cracovia è il centro principale per la formazione delle nuove classi dirigenti polacche. Ad oggi si contano 12 istituzioni di formazione universitaria, con circa 10 mila corsi e 150 mila studenti. Tra queste si segnalano l'Università Jagellonica

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Altri link di miei articoli nel web:

- E. Varutti, Visitare Varsavia, 2017.



- E. Varutti, Auschwitz, luogo della Shoah, 2017.

- E. Varutti, Gita a Bratislava, 2017.

sabato 22 luglio 2017

Lotta per la fede al Museo civico di Villaco, Austria

A 500 anni dalla Riforma protestante (1517-2017) il Museo cittadino di Villaco ha voluto dedicare un’ampia sezione delle sue sale a tale evento. Si presenta col titolo Ringen um den Glauben (Lottare per credere) la rassegna temporanea di intenso valore storico, teologico e, perché no, anche linguistico.
Maestro della Scuola di Villaco, Trittico a battenti di Maria Gail, 1515, lato particolare, Museo di Villaco. Fotografia di E. Varutti

Lottare per credere, oppure Lottare intorno al credere. Tradotto anche con “La lotta per la fede”. Così viene sintetizzata nelle sale espositive l’esperienza di Martin Lutero trasmessa anche a Villaco verso il 1526. L’edificio romanico del Duomo di San Giacomo diviene la prima chiesa protestante della Carinzia e dell’Austria, ritornando dopo la Controriforma al rito cattolico romano, nel 1594.
L’opera più significativa della rassegna estemporanea, a mio parere, è un gustoso doppio ritratto attribuito alla bottega di Lucas Cranach il Vecchio. È un olio su legno del 1529, col titolo: Martin Lutero e la sua consorte Katharina von Bora. Lui con dei fogli in mano e lei dal volto molto dolce, rispetto ad altri ritratti noti e con le mani in mano. 
Poi ci sono zone di ambientazione, come il tavolo da pranzo dell’epoca. Molti oggetti in mostra sono di carattere religioso, come libri sacri, calici e stampe originali. Non poteva mancare la statua gotica di San Giacomo, in pietra arenaria dipinta. Molto bello è il Trittico a battenti di Maria Gail, del 1515, del Maestro della Scuola di Villaco. Se ne vedono qui solo due pitture, fronte e retro, come è per ogni flügelaltar (altari a battenti).
Molto popolare è il basto (in friulano: crama o crassigne) per portare oggetti a spalla. Arricchito da un cuscino per alleviare il peso sulla schiena. Viene usato in Austria nel Seicento nell’esodo per contrasti religiosi, dopo la Controriforma.

Maestro della Scuola di Villaco, Trittico a battenti di Maria Gail, 1515, retro lato particolare, Museo di Villaco. Fotografia di E. Varutti

Martin Lutero (1483-1546), teologo di Eisleben, è l’iniziatore della Riforma protestante. Monaco agostiniano, essendo scandalizzato per la vendita delle indulgenze, nel 1517 affigge alle porte del Duomo di Wittemberg 95 tesi sul peccato. La sua riflessione teologica verte sull’indulgenza, la penitenza e il purgatorio. Così facendo mette in dubbio l’autorità del Papa. Lutero si appella ad una religiosità interiore contro l’esteriorità delle opere, mettendo le basi per la Riforma che da lui prende il nome: luteranesimo. 
Nel 1520, con lo scritto Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, organizza la protesta e il distacco da Roma. Viene subito dichiarato eretico da Leone X. Brucia in piazza una copia della bolla Exsurge, Domine. Con l’editto di Worms viene bandito da Carlo V nel 1521. Viene accolto e protetto da Federico di Sassonia (Wartburg), ove nel 1522 traduce il Nuovo Testamento nella variante sassone della lingua tedesca. Tale testo è il primo contributo moderno alla letteratura nazionale tedesca. Nel 1534 traduce tutta la Bibbia. Il dialetto sassone diviene da quel momento la lingua nazionale tedesca.
Frammento di pietra funebre ebraica del 1350, rinvenuta nel 1971 a Mölthschach, a sud-ovest della città. Museo di Villaco.

Il Museo di Villaco espone altri reperti, oltre a quelli della Riforma protestante. È interessante lo stesso edificio, essendo una costruzione del XVI secolo, poiché racchiude un cortile in stile rinascimentale. Vi sono infatti oggetti del Neolitico e del periodo celtico: monili, armi e una deliziosa statuetta di Beleno, divinità dei Celti. Poi ci sono le lapidi di età Romana (anche nel cortile, vicino ai resti delle mura medievali che cingevano la città), dato che qui fondarono la stazione viaria di Santicum, nei pressi delle sorgenti termali di Warmbad.

Martin Lutero e la sua consorte Katharina von Bora. Doppio ritratto attribuito alla bottega di Lucas Cranach il Vecchio, 1529, olio su legno, Collezione privata. Museo di Villaco.

Poi ci sono le sale con gli oggetti e le opere d’arte del Medioevo, con il passaggio in città di Paracelso, oltre alle collezioni d’arte degli ultimi secoli (pitture, sculture e oggettistica). Curiose sono le sale con armi e divise di tipo napoleonico, dato che la città dal 1809 al 1813 è incorporata nelle Provincie Illiriche, sotto il dominio francese. Durante la Prima guerra mondiale Villaco è sede della 10^ armata austro-ungarica impegnata sul fronte italiano.
Ad esempio, c’è pure un frammento di pietra funebre ebraica del 1350, rinvenuta nel 1971 a Mölthschach, a sud-ovest della città, vicino alla frazione di Judendorf.

San Giacomo, statua gotica, pietra arenaria dipinta. Museo di Villaco. Fotografia di E. Varutti

La città è citata nell’anno 878 avendo un ponte sul fiume Drava “pontem Uillah”. L’imperatore Ottone II nel 979 fa menzione della “corte reale di Fillac”. È nel 1007 che l’imperatore Enrico II regala Villaco alla diocesi di Bamberga, con possedimenti fino a Malborghetto, Tarvisio e Pontafel (la Pontebba austriaca, che si anteponeva a quella della Serenissima Repubblica di Venezia). 
Solo nel 1759 l’imperatrice Maria Teresa d’Austria ricompra la città, per un milione di fiorini, e la pone sotto l’Impero degli Asburgo. Nel Novecento sono da ricordare i 52 bombardamenti aerei degli alleati che distruggono la stazione di Villaco, appartenente al Terzo Reich, e lo snodo ferroviario fondamentale per i nazisti, oltre a circa 1300 edifici civili, compreso il centro storico, con i suoi stupendi edifici cinquecenteschi.
Una ambientazione di tavolata rinascimentale nel Museo di Villaco, oltre a vari monitor con originali video clip sulla mostra "La lotta per la fede" sul luteranesimo. Fotografia di E. Varutti
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Questo articolo non vuole e non può essere una guida del Museo di Villaco. L’obiettivo dell’autore è di incuriosire il turista italiano e di spingerlo a visitare tale piccolo, ma interessante museo situato a pochi chilometri dall’Italia, vicino a Tarvisio, in Friuli Venezia Giulia.
Villaco, sulle sponde del fiume Drava, è la seconda città della Carinzia, per numero di abitanti, dato che ne conta 61 mila (dati del 2016).  
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Das Ringen um den Glauben, Museo della città, da martedì a domenica dalle ore 10 alle 16,30 – Widmanngasse 38, Museo civico di Villaco (Austria), dal 5 maggio fino al 31 ottobre 2017.
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Servizio giornalistico fotografico e di networking a cura di E. Varutti. Si ringrazia la direzione del Museo civico di Villaco per la diffusione e la pubblicazione delle immagini.

Libro dei canti al tempo del Protestantesimo clandestino. Manoscritto su carta. Museo Diocesano di Fresach. Esposto al Museo di Villaco. Fotografia di E. Varutti

Un altro scorcio della particolare rassegna al Museo civico di Villaco "La lotta per la fede".

Basto (in lingua friulana: crama o crassigne) per portare oggetti a spalla. Si noti il cuscino per alleviare il peso sulla schiena. Usato in Austria nel Seicento nell’esodo per contrasti religiosi. Museo di Villaco.

Foglio ricordo dallo spazio per i bambini, dove possono pitturare,  vedere la stampa e l'uso della ceralacca.

martedì 18 luglio 2017

La Dalmazia raccontata a Tarcento, con l’ANVGD di Udine

Qualche volta nei piccoli paesi succedono cose grandi. È capitato allora che al Centro Sociale di Coja di Tarcento ci sia stata una originale conferenza con una discussione pubblica altrettanto interessante sui fatti dell’esodo giuliano dalmata. L’evento in questione si è verificato la sera del 14 luglio 2017 in un paesino che potrebbe essere “il balcone sul Friuli”, per il suo stupendo panorama.
Tra il folto pubblico, in prima fila, Giorgio Ius, coi baffi, e Giovanni Picco.

Il dottor Bruno Bonetti, bibliotecario di Tarcento, ha esposto l’argomento intitolato “La Dalmazia. Croati, serbi e italiani”. L’organizzazione dell’incontro pubblico con oltre cinquanta presenti si deve all’Associazione “Int di Cuje”, in collaborazione con l’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine.
Come mai quel tema in una frazioncina di Tarcento, che conta appena 30 anime? Presto spiegato. Alcuni abitanti del posto sono reduci da un viaggio a Mostar e in altri luoghi della Bosnia, all’interno del progetto “I care for Europe”. Come dice alla stampa Corrado Aitran, responsabile a Tarcento di queste attività del terzo settore «siamo collegati in un network con altre località, come ad esempio Aquileia, Recanati, Pirano, Bač e Arbe, per organizzare dei campi volontariato sui temi dell’ambiente e del Mare Adriatico nelle cittadine collegate a noi, che sono Stolac e Čapljina, che si trovano tra Mostar e Ragusa».
Bruno Bonetti durante la lezione - conferenza 

Torniamo alla conferenza. Ha aperto i lavori dell’incontro culturale Luca Toso, vice sindaco di Tarcento. 
«Questo evento nasce da un meeting sulla Bosnia di oggi cui partecipa anche la città di Tarcento. Volevamo capire di più la storia. Bisogna sapere che gli italiani fuggiti dalla Dalmazia dopo la seconda guerra mondiale – ha detto Toso – convivevano con i serbi ed i croati, ma con i nazionalismi e con la Jugoslavia di Tito è cambiato tutto».
Il vice sindaco ha dato poi la parola a Elio Varutti, vice presidente dell’ANVGD di Udine, che ha portato i saluti di Bruna Zuccolin, presidente del sodalizio degli esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia. Varutti ha ricordato ai presenti la figura storica dell’ingegnere Silvio Cattalini, esule da Zara, scomparso nella notte fra il 28 febbraio e il 1° marzo scorso. «Cattalini ha presieduto l’ANVGD di Udine dal 1972 al 2017 – ha concluso Varutti – con uno spirito di pacificazione tra le due sponde dell’Adriatico, organizzando numerosi incontri culturali e gite in nave per visitare Pola, Fiume, Zara, Spalato e Ragusa».
Luca Toso, vice sindaco di Tarcento apre i lavori della conferenza di Coja

Poi ha parlato Luca Cossa, dell’Associazione Culturale Ricreativa “Int di Cuje” per fare un quadro storico di riferimento della Dalmazia austroungarica fino al Regno di Jugoslavia e a alla Repubblica Federativa di Tito, menzionando la strage di Vergarolla del 1946, con circa 70 italiani uccisi in un attentato, per finire con i viaggi da Pola del piroscafo Toscana per portare gli esuli italiani a Trieste o a Venezia
Ha preso infine la parola Bruno Bonetti, che tra l’altro è segretario dell’ANVGD di Udine. Si è fatto aiutare dalle diapositive in Power Point preparate con Luca Paoloni, consigliere comunale di Tarcento. Bonetti ha parlato con cognizione di causa, essendo discendente dei Bonetti di Zara (di sentimenti italiani) e di quelli di Spalato (di sentimenti croati), con una nonna serba.
Ha presentato all’attento pubblico il risultato delle sue ricerche genealogiche, con vari collegamenti storici e geografici, per mostrare come pure nelle famiglie si siano riverberati i fatti politici dell’Ottocento e del Novecento sui nazionalismi in Dalmazia, fino alle guerre balcaniche 1991-2001
Uno dei suoi avi e scienziato dalmata, ad esempio, è l'arcivescovo Marco Antonio De Dominis. Ha parlato poi degli esodi italiani del 1921 e 1929 da Traù, Spalato, Sebenico, Ragusa e dalle isole dalmate fino al più noto esodo dei 350 mila italiani iniziato nel 1943, sotto la pressione dei partigiani titini, e andato avanti lungo tutto gli anni Cinquanta del Novecento.
Il saluto dell'ANVGD di Udine da parte del professor Elio Varutti, vice presidente del sodalizio. Fotografia di Giorgio Gorlato.

Alex Franz, presidente dell’Associazione “Int di Cuje” nel suo intervento di chiusura ha ricordato come «sia importante conoscere questi argomenti perché sono brani di storia poco noti, perciò diamo appuntamento a tutti per i prossimi incontri su temi analoghi, sempre per la rassegna Cognossi la storie».
Nel dibattito che è seguito sono intervenuti numerose persone con domande e contributi. Giorgio Gorlato ha detto: «i miei avi stavano a Pola e a Dignano d’Istria dal Quattrocento, poi nel 1945 mio padre che era notaio è stato preso dai titini e non l’abbiamo più rivisto, ci hanno detto che è finito in una foiba».
Giorgio Ius, in un colorito intervento in lingua friulana, ha chiesto di parlare di più dei fatti dell’esodo giuliano dalmata e di insegnarlo nelle scuole, perché è importante conoscere questo pezzo di storia del paese.
Tra gli altri, è intervenuto Giovanni Picco, presidente regionale dell’Associazione Nazionale Mutilati Invalidi di Guerra (ANMIG). «Desidero donare a Bonetti e all’ANVGD di Udine, in ricordo di Silvio Cattalini, una cartolina con speciale annullo filatelico – ha detto Picco – nel  90° anniversario del Gruppo Associazione Nazionale Alpini (ANA) di Tarcento e nel centenario dell’ANMIG».

Giovanni Picco, dell'ANMIG porta i suoi omaggi all'ANVGD di Udine. Fotografia di Giorgio Gorlato.
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Il Gruppo Giovanile Adriatico di Udine, 1956-1970
Il professor Varutti, in occasione della dotta lezione di Bruno Bonetti, col permesso di Bruna Zuccolin, presidente del Comitato Esecutivo dell’ANVGD di Udine, ha esposto un gagliardetto dell’associazionismo giuliano dalmata degli anni Cinquanta del Novecento. Si tratta quasi di un cimelio. È il drappo del Gruppo Giovanile Adriatico (GGA) di Udine, aderente all’ANVGD. Tale gruppo giovanile fu attivo in Friuli dal 1956 al 1970 circa. È una bandierina triangolare finemente ricamata e ornata di frangia d’oro, per cm 40 x 60.
Gagliardetto del Gruppo Giovanile Adriatico di Udine, stoffa ricamata, cm 40 x 60. Archivio del Comitato Provinciale di Udine dell'ANVGD

Come ha ricordato il 27 aprile 2006 Sergio Satti, esule da Pola e per decenni alla vicepresidenza dell’ANVGD di Udine, sotto la guida di Silvio Cattalini «il Gruppo Giovanile Adriatico di Udine operò dal 1956 al 1960 organizzando campeggi a Lignano Sabbiadoro per i GGA delle zone limitrofe». Poi che altro faceva? C’era una orchestrina che suonava motivi per i ragazzi di allora. C’erano i veglioni tricolori al Mocambo di Udine, oppure le feste del Carnevale a Mossa, in provincia di Gorizia. C’erano poi le gite sociali e patriottiche a Ronchi dei Legionari, al Vittoriale e a Redipuglia.
Non è tutto, perché il GGA di Udine stampò pure un giornale ciclostilato “El Cucal” (Il Gabbiano) dal 1957 al 1963, con notizie sulla vita associativa e sul dibattito interno. Le discussioni erano forti e vertevano sulle difficoltà di conciliare le azioni dei giovani con quelle degli anziani. Parve quindi una crisi generazionale, che colpì pure il Comitato Provinciale di Torino e di altre città italiane.
I dati sulle iscrizioni all’ANVGD parlano chiaro. La crisi generazionale a Udine finì per far crollare il numero dei soci. Nel 1969 erano scesi a 29 persone, come ha riferito la segreteria dell’ANVGD di Udine nel 2004, mente Varutti stava preparando il libro sul Campo Profughi, pubblicato nel 2007.
In precedenza c’era stato un vero e proprio boom delle iscrizioni, forse sull’onda emotiva del ritorno di Trieste all’Italia, nel 1954, dopo l’esperienza fallimentare del Territorio Libero di Trieste.
Dai 187 soci del 1954 il Comitato di Udine dell'ANVGD passa agli oltre 1200 iscritti del 1957, sotto la presidenza onoraria dell’architetto Carlo Leopoldo Conighi, nato a Fiume e legionario fiumano. L’architetto Conighi, assieme all’impresa del padre ingegnere Carlo Alessandro Conighi, costruì numerosi edifici a Fiume, nonché ville ed alberghi di Abbazia.
Lato b del gagliardetto del Gruppo Giovanile Adriatico di Udine, stoffa ricamata, cm 40 x 60. Archivio del Comitato Provinciale di Udine dell'ANVGD

Renato Capellari, uno dei giovani del GGA di Udine nel 1963 scrisse una lettera a «L’Arena di Pola» riguardo alla crisi e alle accuse mosse dagli anziani contro i giovani. Nello scritto si parla della crisi di iscritti dovuta alle “iniziative tzigane” dei ragazzi (balli e feste). «Ma i giovani – ribatte Cappellari – sono stanchi di sentire slogan come “torneremo”, anche dai politici, mentre poco o nulla si fa per tornare veramente nelle terre perse». I giovani respingono le accuse riguardo ai “the danzanti”, dove avvengono “sfrenati cha cha cha”. Essi dicono di «non volere essere complici della avvilente divisione di 400 mila lire in ottocento sussidi, effettuata nel 1961».
Nel 1967 ci fu una riunione nel capoluogo friulano dei GGA di Udine, Padova, Venezia e Treviso con gite sociali nelle colline friulane. Le ultime attività sono segnalate intorno al 1970, poi più nulla.


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Rassegna stampa dell'evento a Coja, relatore Bruno Bonetti


- Questo articolo è apparso nel web il giorno 23 luglio 2017, in forma ridotta, su friulionline.it col seguente titolo: “Serata a Coja per sapere di più su Dalmazia e italiani”.

- Vedi tra gli eventi del sito web di turismofvg.it

- Sui settimanali della provincia di Udine...


L'intervento di Luca Cossa, dell'Associazione "Int di Cuje".

Il saluto del vice sindaco Luca Toso alla conferenza
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Servizio giornalistico e di networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti, in collaborazione con E. Varutti. Fotografie e didascalie di E. Varutti, ove non altrimenti indicato. Si ringrazia Giorgio Gorlato, esule da Dignano d'Istria, per le fotografie gentilmente concesse per il presente articolo.
Le cartoline con speciale annullo filatelico nel 90° anniversario del Gruppo ANA di Tarcento e nel 100° anniversario dell'ANMIG, donate da Giovanni Picco al relatore Bonetti e all'ANVGD di Udine, in ricordo del compianto presidente ingegner Silvio Cattalini.



Sitologia e cenni bibliografici

- Renato Cappellari “Uno spirito nuovo”, «L’Arena di Pola», 5 marzo 1963.

- E. Varutti, Il Campo Profughi di Via Pradamano e l’Associazionismo giuliano dalmata a Udine. Ricerca storico sociologica tra la gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo 1945-2007, ANVGD, Comitato Provinciale di Udine, 2007. [esaurito dal 2013, ma dal 2014 c'è questa versione nel web].

- Roberto Bruno, Elisabetta Marioni, Giancarlo Martina e Elio Varutti, Ospiti di gente varia. Cosacchi, esuli giuliano dalmati e il Centro di Smistamento Profughi di Udine 1943-1960, Istituto Stringher, Udine, 2015. [disponibile pure nel web, clicca qui].


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Una delle carte geografiche usate da Silvio Cattalini durante le sue varie conferenze, ora utilizzata dai soci ANVGD di Udine