lunedì 6 febbraio 2017

Esodo rocambolesco da Montona, 1947

«Avevo quattro anni – dice Vittorina Vanelli – quando siamo venuti via da Montona d’Istria a settembre del 1947 e ho parenti usciti da Montona e da Parenzo che stanno a Trieste». Comincia così la testimonianza n. 277 della mia raccolta sull’esodo giuliano dalmata. «Ero con la mia mamma Vittoria Mladossich – prosegue la signora Vanelli – e con le mie tre sorelle tutte nate a Montona: Anita nel 1935, Emilia del 1938 e Maria del 1946».
Montona, Maria Cramer con Anita Vanelli, 1936

Ciò che rende rocambolesco ed incredibile l’esodo di questi italiani, fuggiti sotto la pressione dei partigiani titini, è che il padre della intervistata fugge da solo, qualche tempo prima dei congiunti, senza nulla dire alla moglie e ai familiari. Trova lavoro a Trieste e lì aspetta il resto della famiglia. «Mio papà era Emilio Vanelli, nato a Montona nel 1906 e morto a Udine nel 1988 – aggiunge la signora Vittorina Vanelli – parlava poco dell’esodo e, quando gli proponemmo di andare in Istria negli anni 1980-1985, ci rispose: Mi lì no torno più, se no moro!».
Il babbo parlava poco dell’esodo istriano in famiglia? «Mio papà non parlava mai dell’Istria e dell’esodo giuliano dalmata – risponde Vittorina Vanelli – mia fia Martina voleva saver dell’Istria e dell’esodo e suo nono Emilio no voleva dir».
In questo caso familiare non c’è solo il dolore dell’esilio, purtroppo c’è molto di più e di tragico. C’è una persona scomparsa, probabilmente uccisa e gettata nella foiba o in una delle tante sepolture nascoste dell’Istria.
Si pensi che, sin dal 6 febbraio 1991, Franc Perme è fondatore, a Lubiana dell’Associazione per la Sistemazione dei Sepolcri Tenuti Nascosti. Sotto la sua direzione l’associazione ha fatto costruire tre cappelle, ha fatto collocare 18 insegne con croci, crocefissi e 58 insegne commemorative su lastra di marmo nelle parrocchie, sino al 2000. Molti di tali segni della memoria sono stati profanati, asportati o rovinati il giorno dopo dell’inaugurazione, perché c’è ancora tanto odio da parte dei vecchi miliziani di Tito e dei loro discendenti. I protagonisti della guerra partigiana sono scomparsi quasi tutti, oppure sono molto anziani e malati. È tutto un piantare croci e posizionare lapidi, volendo ricordare  “tutti i morti, tutti i combattenti” e ritrovarsele profanate, rubate, asportate, imbrattate.
Emilio Vanelli militare a Firenze, 1° maggio 1926

«Mia nonna è scomparsa nel 1945. Chissà? L’avranno uccisa in una foiba o in una fossa comune – spiega la signora Vittorina Vanelli, con una conferma telefonica della sorella Emilia, impegnata al lavoro – la nonna si chiamava Maria Cramer, aveva un negozio di privativa, tabacchi e albergo. I titini l’hanno accusata di collaborazionismo, perché ha venduto le sigarette a un tedesco, così è sparita, poi ci hanno saccheggiato il negozio. Mi ricordo che mia mamma vedeva certe donne di Montona girare per il paese con addosso i vestiti ristretti di sua madre, che era di taglia forte. Il nonno Francesco Vanelli, il suo cognome di prima è Vesnaver, diceva sempre che Maria, sua moglie, poteva tornare, lui l’aspettava e non si capacitava della sua fine misteriosa».
I fatti sconvolgenti non sono finiti perché «La partigiana che, come si diceva in paese, ha fatto catturare gli italiani che poi sono stati infoibati – spiega la signora Vanelli – era viva nel 2000, quando si fece un viaggio per rivedere l’Istria. Eravamo con mia sorella Emilia e mia figlia Martina, ma quando la partigiana ci ha viste, si è subito rinchiusa in casa».
Oggi il nome di Maria Cramer è segnato su una lapide, assieme ad altri scomparsi di Montona nel cimitero di Cava Cise «ma le sue spoglie non sono lì – aggiunge la testimone, con mestizia – chissà cosa le hanno fatto, dove e come l’hanno seppellita». A questo punto dell’intervista interviene la figlia Martina Finco, per dire con grande stupore che la vecchia partigiana infoibatrice «prendeva pure una pensione italiana».
Qui c'è la lapide di nonna Maria Cramer, ma i suoi resti mortali chissà dove sono?

La famiglia Vanelli arriva esule a Cassacco, in provincia di Udine, in affitto, perché «mio papà era così orgoglioso – aggiunge la signora Vittorina Vanelli – che non voleva usufruire della casa per i profughi, come quelle dei Villaggi Giuliani, mia mamma aveva negozio di privativa e so che anche a Branco ci sono delle case costruite per i profughi giuliani».
Ci sono altri ricordi? «La mia nonna materna si chiamava Nicolina Novacco – conclude Vittorina Vanelli – ed è seppellita a Monfalcone, ecco lei quelli dell’interno dell’Istria li chiamava: i s’ciavetti». Con la parola “s’ciavo”, in dialetto istro-veneto si intende “schiavo”, nel senso di “slavo, croato”. Deriva dal latino volgare “sclavus”, ossia “slavo”. I veneziani chiamavano “S’ciavoni” o “Schiavoni” i marinai slavi della loro flotta e pure gli abitanti slavi delle isole e della Dalmazia, senza attribuire al termine l’accezione vagamente spregiativa, che ha assunto a Trieste, dopo il 1945: “s’ciavo = schiavo, sottomesso”.
Bello scorcio di Montona. Fotografia dal Gruppo di Facebook "Amici profughi istriani", che si ringrazia per la diffusione e riproduzione.

Altre testimonianze dai social network
Sentiamo, in conclusione, il frammento di un’altra testimonianza. È quella di Nirvana Maisani, nata a Montona d’Istria il 23 agosto 1936, pure lei fuggita da bambina. «Siamo venuti via il 2 luglio 1947 – racconta Nirvana Maisani – e abbiamo passato cinque anni nei CRP de L’Aquila e di Torino, eravamo mio papà, la mamma e sei figli, tra sorelle e fratelli. Mia madre si chiama Erica Petronio, nata a Visinada nel 1908. Ricordo che nel 1977 Giovanni Maisani scrive al console italiano di Capodistria, per sapere se può tornare in Istria per vedere le tombe dei suoi cari. Aveva molta paura, essendo stato condannato dal Giudizio Distrettuale di Pisino alla confisca dei beni nel 1948».
Il dato emergente nella mia esperienza di raccoglitore di testimonianze sull’esodo giuliano dalmata è che c’è la voglia di parlare, di scrivere e di rendere pubblici quei fatti.
È successo così al signor Mauro Bracali, nato a Modena nel 1953 e abitante a Pescara. Nel 2016 mi ha scritto un messaggio per ringraziarmi “assieme alla mamma Myriam Paparella, di Zara” per l’articolo sulle Donne fucilate a Spalato.

La signora Adriana Defilippi, nel gruppo di Facebook intitolato “Essere italofoni TM”, il 14 ottobre 2018, dopo aver letto l’articolo su Nonna Maria Cramer, ha inteso fare la seguente precisazione che volentieri si riporta: “I caduti di Cava Cise sono tutti recuperati e sepolti nel Sacrario fatto dalla Famiglia Montonese (durante la presidenza del dott. Dino Papo). Qualcuno non ha potuto avere il nome sulle lapidi in quanto non era riconoscibile al momento del recupero delle salme. Ma tutti sono sepolti lì, nella zona che sta sulla destra entrando nel Sacrario, lungo il lato-strada. Quindi certamente se la nonna Maria Cramer ha la lapide lì, è sepolta nella zona che ho indicato sopra. Da parte nostra (Famiglia Pisinota) portiamo tutti gli anni i fiori e recitiamo le preghiere per quei defunti.

 Montona, Maria Cramer, Emilio, Eugenio e Egidio Vanelli, 1918 circa

Fonti orali e del web
Ringrazio le seguenti persone per la gentile disponibilità riservata a testimoniare sull’esodo giuliano dalmata e a mostrare le fotografie di famiglia, destinate alla diffusione e pubblicazione nel web. Le interviste sono state raccolte da Elio Varutti a Udine, con taccuino, penna e macchina fotografica nelle date citate, se non altrimenti riportato.
- Mauro Bracali, Modena 1953, con avi di Zara, messaggio in Facebook nel gruppo Esodo istriano per non dimenticare del 28 febbraio 2016.
Adriana Defilippi, Trieste 1940, che vive a Muggia, messaggio in Facebook nel gruppo Essere italofoni TM del 14 ottobre 2018.
- Martina Finco, Udine 1974, int. del 5 gennaio 2017 in presenza di Vittorina Vanelli e di Nicolò Giraldi (con avi di Pirano), giornalista del «Messaggero Veneto» al lavoro per la sua testata. Messaggi di E. Varutti in Facebook con Martina Finco del 14 gennaio, 5 febbraio 2017.
- Nirvana Maisani, Montona d’Istria 1936, messaggi in Facebook nel gruppo Esodo istriano per non dimenticare del 28 febbraio 2016.
- Emilia Vanelli, Montona d’Istria 1938, int. al telefono del 7 gennaio 2017 a cura di Vittorina Vanelli.
- Vittorina Vanelli, Montona d’Istria 1943, int. del 5 e 7 gennaio 2017.
Nonna Nicolina Novacco davanti al negozio di privativa a Montona con i nipoti, 1940

Collezioni private
Collezione Vittorina Vanelli, Udine, fotografie.

Riferimenti bibliografici e nel web
- Elio Varutti, Elvira Casarsa da Parenzo, l’esodo del silenzio 1948, nel web dal 2015.
- Per un approfondimento sui massacri di militi sloveni e croati perpetrati dai partigiani titini dal 1941 al 1952 si può vedere il seguente complesso libro, anche se secondo alcuni storici è di non facile utilizzazione in sede accademica:

Franc Perme, Anton Zitnik, Franc Nucic, Janez Crnej, Zdenko Zavadlav, Slovenjia 1941, 1948, 1952. Tudi mi smo umrli za domovino, (1.a edizione: Lubiana, Grosuplje 1998, col titolo tradotto: I sepolcri tenuti nascosti e le loro vittime 1941-1948, di Franc Perme, Anton Zitnik, pp. 277), Lubiana Grosuplje, Associazione per la Sistemazione dei Sepolcri Tenuti Nascosti, 2000. Edizione italiana [considerata dagli AA. come la terza]: Slovenija 1941, 1948, 1952. Anche noi siamo morti per la patria. “Tudi mi smo umrli za domovino”. Raccolta, Milano, Lega Nazionale d’Istria Fiume Dalmazia, Mirabili Lembi d’Italia, [2005, l’anno di stampa è dedotto, fra le pagine 380 e 381, nella didascalia delle fotografie a colori n. 22-23], pp. LXVI-792, euro 30.
Vittorina Vanelli sulla strada di Montona nel 2000.

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