domenica 21 febbraio 2016

Il viaggio di Meri. Esodo da Veglia, 1944

Autrice di questo memoriale è Maria Maracich, detta “Meri”. Nata il 25 marzo 1926 a Veglia, nel Regno dei Serbi, dei Croati e Sloveni, dovette scappare dall’Isola del Carnaro un anno dopo il giorno 8 settembre 1943. Maria fa parte di quel gruppo di esuli di Veglia (Krk, in croato) definiti “italiani all’estero”, in quanto nati in un’entità statale diversa dall’Italia, anche se molto vicina territorialmente al Bel Paese.
Centro Raccolta Profughi di Migliarino Pisano, 10.04.1950. Matrimonio in Campo Profughi, Don Mario Maracich. Gli sposi sono Maria Maracich e Gino Beltramini. Fotografia da: Maria Maracich, Il viaggio di Meri, Codroipo, 2013.

Il libro, di 40 pagine, è stato stampato a Codroipo, provincia di Udine, e reca questa indicazione: Edizioni Beltramini. È senza l’anno di stampa, ma ho verificato essere il 2013, considerato che il manoscritto è del 2012. Il volumetto è stato pubblicato solo in una trentina di copie, ad uso dei parenti e conoscenti, perciò è introvabile. Per le mie ricerche sull’esodo giuliano dalmata, ho avuto la fortuna di consultarne una, potendo vedere pure il manoscritto, che gira comunque in fotocopie tra conoscenti, amici e simpatizzanti.
Nel mese di aprile 1941 l’Italia di Mussolini dichiarò guerra alla Jugoslavia, che usò tale denominazione dal 1929. Gli italiani di Veglia furono evacuati fino a Verona, per tre settimane. Si trattò di oltre 1.500 individui. Gli optanti alla cittadinanza italiana a Veglia città, nel 1927, erano 1.162. Poi l’isola fu annessa all’Italia, fino al 1943, quando arrivarono i partigiani di Tito.
Sposi Gino Beltramini e Maria Maracich al Campo Profughi di Migliarino Pisano, 10.04.1950. Fotografia da: Maria Maracich, Il viaggio di Meri, Codroipo, 2013.

Dopo l’annessione di Mussolini «Cominciarono i guai – scrive Maria Maracich a pag. 14 – non si trovava niente da mangiare. A mezzogiorno si andava a prendere qualche cosa alla mensa militare. Essendo un’isola non era facile procurarsi il cibo». Si diffuse la borsa nera, soprattutto a Fiume.
Col 1943 i soldati italiani «dovettero cedere le armi a un gruppo di ragazzi croati armati». Iniziarono le prime minacce a mano armata dei titini nei confronti degli italiani, per portare via cibarie. 
«Io avevo una cesta piena di roba e me ne andavo vero casa. – scrive la Maracich a pag. 16 –  Uno di questi ragazzi mi conosceva, mi fermò puntandomi il fucile contro e mi disse: “Metti giù quella roba se no ti sparo”. Io gli risposi: “Spara se hai coraggio, questa è roba italiana e non te la do». Si verificarono poi le prime vendette. «I croati ci odiavano a morte. – scrive Meri Maracich a pag. 17 – I tedeschi chiesero loro la lista dei partigiani, ma loro gli dettero dei nomi italiani».
Nel 1944 i nazisti sequestrarono giovani, uomini e donne. «Dovevano portarci in Germania per lavorare. Così dissero. Intervennero le autorità italiane ed il vescovo presso i loro superiori a Fiume, per liberarci».
Campo Profughi di Migliarino Pisano, 10.04.1950 - Sposi Maria Maracich e Gino Beltramini, confetti per i bimbi. Fotografia da: Maria Maracich, Il viaggio di Meri, Codroipo, 2013.

La fuga di Maria Maracich avvenne da clandestina, nel maggio 1944, in compagnia della zia Dolores e dei suoi cinque figli. Da Veglia a Fiume viaggiò su un peschereccio di sera, col blando controllo di due militari tedeschi anziani.
La fuga di italiani di Veglia nel mese di maggio 1944 su alcuni pescherecci verso Fiume viene descritta anche da Lauro Giorgolo nel suo Veglia ed i suoi cittadini, del 1997, a pag. 44. I profughi italiani di Veglia scappano dai rastrellamenti tedeschi e dei croati, loro consoci, ma anche dagli imprigionamenti dei partigiani di Tito. All’arrivo dei nazisti, i titini si ritirano, portandosi dietro tutti i prigionieri. Di questi sequestrati in mano titina solo uno riuscirà a fare ritorno (Vedi: L. Giorgolo, a cura di, Veglia ed i suoi cittadini, 1997, a pagg. 44-45).
Poi Maria Maracich proseguì con la famiglia in treno fino in Friuli, a Tolmezzo, alla ricerca dello zio che lavorava in posta. Durante il controllo dei militari tedeschi in treno Maria si portò in gabinetto il cugino Pino, istruendolo su cosa dire se fossero passati i tedeschi per controllo. «Vennero a bussare alla porta – scrive Maria Maracich a pag. 18 – io ero nascosta dietro, lui [Pino] aprì la porta e seccato disse: “Ma non vedi che faccio la cacca!” Se ne andarono tranquilli».
I partigiani della Carnia rispedirono la comitiva verso Udine, in treno, perché in montagna era troppo pericoloso con tutti quei bambini. Nel capoluogo friulano furono accolti dalla prefettura, che li indirizzò all’asilo notturno, nei pressi del Giardin Grande (poi detta: Piazza I Maggio). «Dopo un mese – aggiunge Maria Maracich a pag. 19 –  il Comune di Udine ci dette una baracca di legno in Via San Rocco, vicino alla caserma».
A Udine Maria incontrò il fratello Rino, sposatosi a Pola e sfollato ad Aiello del Friuli. Il fratello la volle con sé nel paesino della bassa friulana. Ad Aiello Maria fu requisita dai tedeschi per lavorare nella TODT.
Finalmente la guerra finì e la famiglia era divisa. I genitori stavano ancora a Veglia, sperando di poter vendere la casa e i campi. Il fratello Mario studiava al Seminario di Udine, poi a Venezia. «Nell’estate del 1947 conobbi Gino, dopo quindici giorni partì come emigrante per la Francia». 
Campo Profughi di Migliarino Pisano, 10.04.1950 - In 17 nella baracca del campo per il matrimonio di Maria e Gino, sposati dal fratello di lei don Mario Maracich. Fotografia da: Maria Maracich, Il viaggio di Meri, Codroipo, 2013.

Il 19 marzo 1949 Maria rivide i suoi genitori, mentre il fratello Mario studiava al Seminario di Pisa. «Arrivarono a Udine al Campo smistamento profughi. – scrive la Maracich a pag. 26 –  Quello fu il giorno più bello della mia vita». Pochi giorni dopo furono trasferiti al Centro Raccolta Profughi di Migliarino Pisano, dove vissero in baracca per un anno e mezzo».
Il 10 aprile 1950 Maria Maracich e Gino Beltramini si sposarono nel Campo Profughi di Migliarino Pisano. Celebrante don Mario Maracich, fratello di Maria. «Prima notte di nozze in baracca. Vestito prestato da un’altra sposa di Aiello, sposatasi quindici giorni prima. I sandali erano miei, vecchi e con i buchi, mia sorella mi tirava giù il vestito, così non se li vedeva. Anche i guanti erano vecchi. Per mio fratello fui la prima sposa».
Quanti furono gli invitati? «Eravamo in 17 in una baracca. Il menu era: minestra in brodo, tre polli arrosto regalati dalla gente di Aiello, cavolfiori e piselli, al posto della torta: biscotti. Uno del Campo suonava la fisarmonica [dovrebbe trattarsi di Checo, secondo la testimonianza di Shamira Franceschi, 14.02.2014], c’era un piazzale e ballavamo tutti, tanto non c’era niente per cena! Alle 10 di sera tolsero la luce e… tutti a nanna!».
Il viaggio di Meri continua poi a Gorizia, in Francia (1950), Ripafratta, in provincia di Pisa (1953) e in Svizzera (1960), per concludersi, dopo il 1975, a Lonca di Codroipo, in Friuli.
 Maria Maracich requisita ad Aiello del Friuli dalla TODT a scavare fosse anticarro "con la pala e il piccone" nel 1944. Fotografie da: Maria Maracich, Il viaggio di Meri, Codroipo, 2013.

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Ho potuto consultare, recensire e riprodurre il libro di Maria Maracich, grazie alla splendida collaborazione di un suo cugino, anch'egli esule da Veglia; è il signor Celso Giuriceo, nato a Veglia nel 1936, "italiano all'estero". 
L'ho intervistato e incontrato più volte a Udine il 10.02.2016 e in giornate successive. «Mi ricordo la fuga da Veglia sul peschereccio nel 1944 - ha detto Celso Giuriceo -  e quando siamo arrivati al porto di Fiume, abbiamo dovuto aspettare che lo aprissero, perché alla notte veniva bloccato con delle catene».
Martedì 6 giugno 2016, dopo breve malattia, muore Maria Maracich, detta "Meri", come mi comunica per telefono suo cugino Celso Giuriceo.

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Mi ha colpito la dedica che la signora Maria Maracich ha scritto di pugno al libro "Il viaggio di Meri" donato al cugino Celso Giuriceo. Essa recita:  «Quanto volte abbiamo mangiato a Udine, all'asilo notturno la pasta, facendo la gara chi era più veloce, quanta fame. Con affetto Meri».

La copertina del volume, edito nel 2013

Bibliografia di riferimento

Anna Maria Fiorentin, Veglia la «Splendidissima Civitas Curictarum», Pisa, Edizioni ETS, 1993.

Anna Maria Fiorentin, Nel Carnaro. Un'isola. Racconti, Pisa, Edizioni ETS, 1997.

- Shamira Gatta, alias Shamira Franceschi, Così la mia famiglia fuggì dall’Istria per salvarsi dalle foibe"Il Tirreno", 14.02.2014.

- Shamira Gatta, alias Shamira Franceschi, Il Giorno del Ricordo, 10.02.2014, dal suo blog personale.

Lauro Giorgolo, a cura di, Veglia ed i suoi cittadini, 1997.

Maria Maracich, Il Viaggio di Meri, Codroipo, provincia di Udine, Edizioni Beltramini, 2013.

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Questo articolo rientra nelle attività del Centro di ricerca, documentazione e produzione culturale sull’esodo giuliano dalmata, per raccogliere, testi, documenti, interviste e fotografie di quei particolari momenti storici. Il Centro di ricerca è sorto all’interno del Laboratorio di storia dell’Istituto Stringher di Udine, di cui è referente il professor Giancarlo Martina.  È parte del progetto, sostenuto dalla Fondazione Crup, “Storie di donne del ‘900”, che  ha ottenuto, tra gli altri, il patrocinio di: Provincia di Udine, Comune di Udine, Club UNESCO di Udine, Società Filologica Friulana, ANED, ANVGD di Udine.

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