giovedì 30 aprile 2015

Resistenza e Ricostruzione all’Istituto Stringher di Udine

Si è svolta lo scorso 24 aprile 2015 la conferenza per le classi quinte nell’auditorium dell’Istituto Statale d'Istruzione Superiore "Bonaldo Stringher" di Udine sul tema "Donne friulane della Resistenza", dalle ore 11 alle 13.

La vice preside Isabella Costantini al microfono, per il saluto di Anna Maria Zilli, dirigente scolastico dello I.S.I.S. B Stringher - Indirizzo Alberghiero. Nella fotografia si vede, destra, l'onorevole Elvio Ruffino, presidente regionale dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia (ANPI).

La lezione speciale rientrava nel programma del Laboratorio di Storia dell’Istituto alberghiero, commerciale e turistico, che ha per referente il professor Giancarlo Martina, che ha aperto i lavori, sfiorando le tematiche legate al periodo tra guerra e dopoguerra con la Ricostruzione. Su tali argomenti opereranno gli studenti assieme ai professori di storia.
L’evento rientrava nel ciclo di attività didattiche intitolato "Resistenza e Ricostruzione", dato che ha trattato eventi compresi tra gli ultimi anni del Secondo conflitto mondiale, il Piano Marshall e il boom economico, tra gli anni 1950-1970.
La professoressa Isabella Costantini, vice preside della scuola, ha portato il saluto ufficiale di Anna Maria Zilli, dirigente scolastico dello Stringher. La prima relazione, intitolata "Donne friulane della Resistenza", è stata condotta dalla professoressa Chiara Fragiacomo, dell'Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione (Ifsml) di Udine. Ha fatto seguito un originale intervento musicale registrato con interessanti diapositive. Col titolo “Vittime di speranza” è stata presentata, in anteprima assoluta, la composizione per pianoforte e orchestra, della professoressa Barbara Sabbadini, docente dello Stringher, autrice nota per aver scritto e musicato l'inno ufficiale del Club UNESCO di Udine.

Tra il pubblico in prima fila si notano l'ingegnere Silvio Cattalini, presidente dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia, Comitato Provinciale di Udine, accanto a Giorgio Gorlato (primo a destra), alla professoressa Elisabetta Marioni e a Ezio Martinis. La seconda a sinistra, in prima fila, è la professoressa Renata Capria D'Aronco, presidente del Club UNESCO di Udine.

La seconda relazione era incentrata su “La condizione femminile a Timau nel Primo Novecento”. È stata illustrata da Lisa Mentil, che ha voluto soffermarsi sul ruolo delle portatrici carniche nella Grande Guerra. Nelle relazioni è stato evidenziato il ruolo delle staffette partigiane e del patronage di massa svolto dalle donne, soprattutto dopo il giorno 8 settembre 1943. Sono state ricordate pure le figlie delle portatrici carniche, che nel 1943-1945, si premurarono di andare alla ricerca di cibo nella Bassa friulana con la gerla in spalla, oppure rifornivano i partigiani in montagna.

Le relazioni sono state accompagnate da diapositive in Power Point, dopo il saluto delle autorità invitate. Erano presenti la professoressa Renata Capria D’Aronco, del Club UNESCO di Udine, oltre all’ingegnere Silvio Cattalini, presidente del Comitato Provinciale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD) e Giorgio Gorlato, esule da Dignano d’Istria. 
Ha tratto le conclusioni il professore Elio Varutti, referente del progetto“Il secolo Breve in Friuli Venezia Giulia”, che ha ricordato il centenario del genocidio degli armeni, oltre ad altri fatti salienti del Novecento e le azioni didattiche in ambito storico sociale che saranno realizzate dalla scuola. Tale progetto è sostenuto dalla Fondazione Crup.

Renata Capria D'Aronco, presidente del Club Unesco Udine, al microfono
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Hanno concesso il patrocinio al presente progetto i seguenti enti e/o istituzioni (e li ringraziamo): la Provincia di Udineil Comune di Udineil Club UNESCO di Udine, la Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti, Sezione provinciale di Udine (ANED), la Società Filologica Friulana, il Comitato Provinciale di Udine dell'ANVGD, il Comune di Martignacco, nel cui ambito territoriale ha sede Villa Italia, residenza di re Vittorio Emanuele III, dal 1915 al 1917.
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Rassegna stampa
infofvg.itinFondazioneCircolo Culturale Beato Bertrando di Martignacco, Banca della memoriaIl Giornale del Friulifriulionline.comildiari.euMister-x.itanygator.comlibero 24 x 7, il blog di Elio Varutti, ... 
Riguardo al Calendario 2015 dello Stringher, vedi: friulionline.comIl Giornale del Friuli247.libero.itwebnode.itMessaggero Veneto, sito web nazionale dell'ANVGD di Roma; la vetrina della Biblioteca Civica "V. Joppi" di Udine.

Una versione di questo articolo è stata pubblicata da infofvg.it col titolo Resistenza al femminile all’Istituto Stringher di Udine il 30 aprile 2015.

Auditorium I.S.I.S. B Stringher - Indirizzo Alberghiero Udine conferenza "Resistenza al femminile". Da sinistra Isabella Costantini, vice preside, Lisa Mentil, Chiara Fragiacomo e Giancarlo Martina, referente del Laboratorio di Storia della scuola


In seguito all'evento descritto la scuola è stata invitata a partecipare ad un convegno su temi analoghi, organizzato dall'ANPI regionale a Udine, nella sala della Fondazione CRUP, per il 15 maggio 2015, col titolo "Insegnare la Resistenza e la Costituzione". Nell'occasione un intervento di saluto è stato portato da Anna Maria Zilli, dirigente scolastico dello Stringher. Erano presenti docenti delle scuole superiori e dell'Università di Udine e di Trieste, oltre a ricercatori dell'Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione.
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Nel 2014 si era svolto un incontro simile all'Istituto Stringher, sul tema "Resistenza e Costituzione", vedi l'articolo sul sito web infofvg.it  del 19 marzo 2014.

Le osterie di Udine sud

Questa è la storia delle osterie udinesi oltre Porta Aquileia. Don Aldo Moretti, nel 1979, ha scritto di aver trovato in biblioteca un «Indicatore della provincia di Udine 1930-31 – VIII-IX Era fascista». Di tale pubblicazione si è servito solo per la precisione dei titoli e degli indirizzi. Nel rione di Baldasseria e Udine Sud, infatti, ha utilizzato anche le testimonianze degli anziani: “i loro ricordi – ha scritto don Moretti – sono spesso imprecisi nelle date e nei dettagli, ma in compenso hanno una freschezza venata di nostalgia che fa rivivere cose già morte”. Poi, don Moretti continua con le seguenti parole.
Don Aldo Moretti, nome di battaglia da partigiano "DON LINO"

1) Osteria “Al Cason”, oppure “Alle Sbarre”
C’erano le sbarre del passaggio a livello all’inizio di viale Palmanova, oggi sostituite dal sottopassaggio e lì vicino c’era un’osteria. Se se le stanghe erano calate – e lo erano di frequente – avevi tempo di entrare nel chiosco d’angolo, che si chiamava, alla buona, «Il Casot». Potevi bervi «il taj di vin» (bicchiere di vino), il  «bùssul di sgnape» (bicchierino di grappa). Oppure potevi comperare per i bambini «doi centesins di bagjigjis o un centesin di luvins» (due centesimi di arachidi o un centesimo di lupini). Ci incontravi magari i figure tipiche del tempo come «Bons, Toni Lunc, Carlo Crûgnul». Costoro però quando erano meglio forniti di «palanchis», passavano nell’osteria vera e grande, anche se ancora umile nel nome «la Ostarie del Cason»,  che esisteva già ai tempi antichi di Pietro Carlini mentre, poco dopo la metà del Novecento, la gestiva siôr Toni Carlin, ovvero «Toni dal Cason».
Essa era all’angolo tra il via e Palmanova e via Medici. Aveva anche cortile e stallo per carri e cavalli, sia per bestiame d’acquisto, che di transito. Era infatti, quello, punto di ritrovo per sensali e negozianti che lì contrattavano bovini destinati ai mercati d’Italia e cavalli provenienti dall’Ungheria, questi in genere destinati ai paesi del Friuli. La vicinanza della stazione ferroviaria era la ragione di questa referenza.
Prima del 1927 e fino al 1945 – secondo Mario Quargnolo – fu gestita, con il nome “Alle sbarre”, dalla signora Giovanna Peloi. Non esiste più nel 2015.

2) Al Privilegio
Torniamo sul viale Palmanova: da via Medici a via della Madonetta e fra la roggia e il viale c’era la «Industria Laterizi della Società Anonima Impresa Rizzani». (Tale industria era “sorta nel 1906” – vedi: Elio Varutti, Anelli-Monti e Anderloni, Udine, Ribis edizioni, 1994, pag. 20).
Questa fornace, di proporzioni maggiori a quelle della fornace Franzolini, era sorta ancor prima di questa e fu più lungamente attiva, fino a non molti anni fa. Le campagne della nostra zona vennero largamente scoperte – e poi ricoperte – dello strato superiore di humus «il nembri», per prelevarvi sotto l’argilla. Sulla carta topografica della città del 1920 è segnata una viuzza, denominata «via dell’Argilla», che a via Medici procede, da nord a sud, fino ad incontrare via della Madonetta. Ora ne esiste l’inizio, che si chiama via Gregorutti. Quella “de argile” era percorsa da cavalli spinti a mano a portare il materiale dagli «arzilârs» (i campi di estrazione) alla fornace. C’era anzi un tunnel per il quale i carrelli sottopassavano il viale Palmanova per andare a prelevare argilla nelle campagne a est, seguendo probabilmente un’altra stradella simile alla precedente, segnata anche essa sulle carte topografiche d’allora  e detta la «strade dai Carlins». Tale viuzza partiva da via Fornaci, ma aveva una laterale che proveniva appunto dal tunnel suddetto. La viuzza proseguiva per la campagna compresa tra le attuali vie Baldasseria Media e Bassa fin molto a sud. Mi pare ovvio che di tale stradella abbiano fatto uso tutte e due le fornaci.
La ciminiera che si ergeva presso l’attuale via Urli e l’osteria «al Privilegio» (negli anni 1970-1975, osteria il Manderon) erano gli emblemi più appariscenti o almeno più osservati di quella attività, che dava sudato lavoro a tanti «fornasîrs» (fornaciai). Fin qui le ricerche di don Aldo Moretti.
Secondo Diego Cinello, come scrive a pag. 180 del suo libro fatto con racconti pubblicati sul calendario Rizzardi dal 1992 al 2005, il privilegio “al è il permès, vût par antîc dal Patriarcje, di fabricâ modons”. Vicino alla fornace, dove si avvicendavano molti carradori assetati, doveva nascere per forza un’osteria. Doveva chiamarsi, sempre per forza, Al Privilegio. Non esiste più nel 2015.


Cartolina di Udine, Porta Aquileia nel 1949

3) Ai Tre Musoni
È un’osteria friulana classica. Si trova in Via Marsala a Udine, vicino all’osteria Bontà. Mario Quargnolo nel suo “Caffè e osterie di Udine”, del 1983, ha descritto il locale dei Tre Musoni per filo e per segno.
L’attività esisteva già nel 1904 sotto un altro nome. Si chiamava “Al Piccolo Torino” e poteva vantare pure due campi di bocce, distrutti dal bombardamento americano del 1944. Quell’evento bellico fu un fatto tragico per il quartiere. Provocò, infatti, 43 morti in via Buttrio, che è molto vicina ai magazzini ferroviari, vero obiettivo dei raid angloamericani, che tendevano a distruggere il treno blindato nazista, usato nella repressione antipartigiana. Da qui uso altre fonti, come articoli di giornale e ricerche personali.
Il 28 dicembre 1944 l’attacco dal cielo si svolse in tre ondate. La contraerea tedesca era installata ai quattro punti strategici della città: a Sant’Osvaldo, nel Cormôr, vicino al cimitero di Paderno e in Baldasseria bassa. Quattro aerei americani furono colpiti: uno cadde in via Marsala, uno presso Castions di Strada e un terzo velivolo a Tavagnacco. I resti dei piloti caduti in via Marsala erano ancor visibili, abbandonati lì, dopo un mese. La guerra è così. Alla sera del 28 dicembre si contarono 60 morti civili e un migliaio di udinesi senza tetto. Il 29 dicembre 1944, dopo mezzogiorno, sei formazioni per complessivi novanta aerei USA sganciarono sulla verticale della stazione di Udine bombe di grosso calibro, spezzoni incendiari e dirompenti. Il bilancio fu di un centinaio di morti civili, oltre alla distruzione di 26 stabilimenti, 200 abitazioni e 6 scuole o collegi. Cinquemila furono i senza tetto. La parrocchia del Cristo, in via Marsala, ebbe 36 morti. Devastata la zona di Gervasutta. Ampi incendi distruggevano le costruzioni di via Cussignacco, via Percoto, via Ronchi, via Buttrio e via Roma. Altri bombardamenti avvennero nei mesi successivi, come ha scritto Olivio Intilia sul «Messaggero Veneto» del 29 dicembre 2005. La guerra finì il 1 maggio 1945, quando i tank neozelandesi entrarono in città, che era già stata liberata dai partigiani.
L’osteria “Ai Tre Musoni”, ai primi del Novecento, era ben inserita nel settore, tanto che metteva in mostra un’oleografia, ovvero una pittura a stampa, diffusa nell’Ottocento, con la scritta: “Gara al boccino 1909”. Era il punto di mescita dell’imprenditore Francesco Marzano (1862-1940), assai noto nella zona. Egli era giunto a Udine da Gioia del Colle, in provincia di Bari, sul finire dell’Ottocento, come operaio della ferriera. Poi, appurato che il vino Puglia, fattosi spedire da casa, in Friuli andava a ruba, divenne imprenditore, importando tale prodotto in grandi quantità. “Il forte vino meridionale dilagò ben presto in città e in provincia – ha scritto Quargnolo – e l’azienda di Francesco Marzano si ampliò fino a divenire, nel suo genere, un’istituzione”.
La figlia di Francesco Marzano, signora Giovanna Peloi, ebbe dal padre l’osteria nel 1927. Prima lei aveva gestito l’osteria “Alle sbarre”, davanti al passaggio a livello di viale Palmanova, dove più tardi ci fu una caserma del carabinieri. Negli anni Trenta fu costruito il cavalcavia, vanificando tale passaggio a livello. Verso gli anni Settanta fu aperto l’attuale sottopassaggio, che unisce piazzale D’Annunzio con viale Palmanova. La “Siora Giovana” gestì il locale sino al 1945. Apriva alle cinque del mattino per somministrare i quintini di grappa agli ex colleghi del padre, ovvero agli operai della ferriera, situata nel viale omonimo, a pochi passi da via Marsala. La chiusura era fissata per le undici, mezzanotte. Oltre alla grappa, che i fornitori portavano a damigiane, l’osteria vendeva vino meridionale e friulano.
Nel 1946 l’azienda fu presa in carico dal figlio Angelo Peloi, cui si deve l’intitolazione di “Tre Musoni”. Vista su un’enciclopedia la fotografia di tre mascheroni da fontana monumentale, il Peloi incaricò lo scultore Milan di riprodurli in legno rivestito per il suo locale. 
Il lavoro, di ottima fattura, rappresenta la fratellanza di tre razze (bianca, nera e gialla) davanti a un buon bicchiere. Fu collocato sulla parete dietro il banco nel 1955 e dalla bocca di ciascuno dei mascheroni usciva un tipo di vino diverso. Negli anni sessanta iniziò a servire pure il caffé. I Marzano ed i loro discendenti, in quel periodo, si occuparono anche di opere di beneficenza religiosa per la zona.
Il 28 giugno 1953, terminata la costruzione del campanile della chiesa del Cristo, voluto da Giuseppe Marzano (1896-1968), furono posizionate quattro lapidi, agli angoli della torre campanaria, col bassorilievo dei familiari Marzano. Sono ricordati Francesco Marzano (1862-1940), Onofrio Marzano (1890-1951), Donato Marzano (1892-1940) e Giuseppe Marzano. Fu, infine, collocata una lapide a ricordo dei benefattori, che reca il seguente testo:
QUESTO MONUMENTO
DONO DELLA MUNIFICENZA DI GIUSEPPE MARZANO
E
LE NUOVE CAMPANE ED OROLOGIO
OFFERTI DALLA GENEROSITÁ DEI PARROCCHIANI
VENNERO SOLENNEMENTE BENEDETTI ED INAUGURATI
IL GIORNO 28 GIUGNO 1953
DA S.E. MONS. GIUSEPPE NOGARA ARCIV. DI UDINE
ESSENDO PARROCO MONS. PIETRO BALDASSI

Nel settembre 1971 la gestione dei “Tre Musoni” fu assunta da Attilio Tomada, che introdusse pure un servizio di cucina casalinga. Dal canto suo Angelo Peloi, nipote dell’avventuroso Francesco Marzano, intraprese un’attività inedita per il capoluogo friulano, inaugurando la sala di bowling di viale Palmanova. Era il 1971 e toccò al sindaco Bruno Cadetto tirare la prima boccia all’inaugurazione della nuova attività. Negli anni novanta il figlio del gestore, Roberto Peloi, attualizzò l’azienda, introducendo un “Internet point”, oltre a numerosi videogiochi a tecnologia avanzata.
Dal 1971 al 2010 la gestione dei “Tre Musoni” fu assunta da Attilio Tomada, che introdusse pure un servizio di cucina casalinga. Dal 2013 è gestita dalla signora Marilena Breda, che si impegna anche sulle cene a tema.
Viale Palmanova a Udine. Fotografia: www.lavitacattolica.it

4) Al Ledra
Si trovava lungo Viale Palmanova, all’incrocio con Vie della Madonnetta. L’interno, assai semplice, metteva in mostra una raccolta di cappelli e di caschi militari. L’osteria chiuse con la fine del Novecento.

5) Da Fusâr
Aperta ufficialmente nel 1926, si è scoperto che l’osteria da “Fusâr”, di Via Pradamano, a Udine, reca quel nome (il fusaio, o fabbricatore di fusi per filare), proprio in onore di quelle donne, chiamate "Lis Sedonariis" (da "sedon", mestolo, in friulano), che, gerla in spalla, ripiena di mercanzia, affrontavano, camminando, i percorsi dei loro tentativi di vendita domiciliare. 
«A vignivin di Claut – ha detto il signor Gino Nonino, di Baldasseria – e a lavin a durmî tal toglât dai Roiats lì di Fusâr» (Venivano da Claut, in provincia di Pordenone, e andavano a dormire nel fienile dei Roiatti, da Fusâr).
In un’altra intervista si è saputo che «Me nono Zuanin Roiatti, nassût tal 1863 e muart tal 1941 – ha riferito Elsa Roiatti - che al faseve l’ustîr, a dave di durmî ai fusâr e a lis sôs feminis e alore ducj lu clamavin fusâr» (Mio nonno… faceva l’oste e dava da dormire ai fusai e alle loro donne e allora tutti lo chiamavano fusâr).
Erano donne di Cimolais e Claut, in provincia di Pordenone, oppure della Carnia. C’era una certa Letizia Sottocorona, da Collina di Forni Avoltri. Dalle 293 interviste, raccolte dai ragazzi dello Stringher, si è saputo che “lis sedoneris” venivano chiamate anche con altri appellativi. Ad esempio “lis montagnaris”, poiché scendevano coi carri e i loro uomini, dalle montagne.
Per tali figure del commercio ambulante c’era il nome di “Chei des cjaçutis”, ossia: quelli delle stoviglie. “Las Nardanas” erano dette le donne che venivano da Erto (“Nert”), in provincia di Pordenone. Naturalmente “las Clautanas cu las crassignas” erano le portatrici di Claut. La “crassigne” è un oggetto ancora più antico, usato addirittura dai “cramars”, gli ambulanti carnici del Settecento e dei secoli precedenti.
Era un contenitore di legno, da portare a mo’ di zaino sulle spalle. Era in montagna e in Carnia che, durante i freddi inverni, venivano fabbricati questi utensili in legno, per poi venderli in pianura, mediante le donne di casa, giovani incluse.
Ecco spiegato allora il termine “lis cjargnelis cul zei plen di robe” (le carniche con la gerla piena di roba). Alcune donne erano definite “lis fusanis”, perché vendevano per le strade della città i fusi per filare. 
Osteria Da Fusâr in Via Pradamano a Udine. Sullo sfondo la scuola "Enrico Fermi", che fu Centro di Smistamento Profughi dell'esodo giuliano dalmata dal 1947 al 1960. Per altre info vedi: Il Centro di Smistamento dei profughi istriani a Udine, 1947-1960 
Fotografia di Elio Varutti

6) Al Francese, lì de La Piccola Parigi
L’osteria «Al Francese» sorta nell’ultimo dopoguerra, era situata nel borgo di Via Baldasseria Bassa detto “La Piccola Parigi”, come ha scritto Alfredo Orzan nel 1984 sul numero unico della sagra di Baldasseria. La intitolò lo scomparso Gino Colle, padre del gestore degli anni 1980-1990, emigrato in Francia per tanti anni. A così intitolarla furono gli avventori: «anin a bevi un tai là dal Francês». Fin qui tra storia e leggenda.
Spreco un po’ di spazio sul toponimo de “La Piccola Parigi”, con le parole del maestro Alfredo Orzan. «Una manciata di vecchie case – scrive Orzan – a levante e ponente di via Baldasseria Bassa, fra i paralleli di via Lauzacco e Lavariano; qualche muro annerito, stradine, orticelli curati e aiuole fiorite. Una borgata tranquilla che ha mantenuto inalterato nel tempo l’aspetto del tipico insediamento operaio-rurale di due secoli fa: un esempio di architettura spontanea modesta, se vogliamo, ma suggestiva e in stridente contrasto con la monotona mole del «Modulo commerciale» vicino, che non poteva trovare collocazione più infelice.
Carletto Domenico nell’agosto del 1971 (allora aveva 79 anni) in occasione della sagra, intervistato, dichiarava al periodico della comunità, in quegli anni intitolato «Parrocchia di S. Pio X»: «I Casali di Baldasseria Bassa vennero denominati «Piccola Parigi» all’inizio del 1800, quando anche la Baldasseria Bassa era un covo di contrabbandieri... il centro della borgata era costituito dallo stallone o stazione dei cavalli, fabbricato adibito ad abitazione».
Non esistono, però, fonti storiche per documentare il battesimo di questo toponimo. Le ricerche di Orzan alla Biblioteca Comunale sono state infruttuose. A sentir gli anziani la denominazione ha origini più remote. L’avevano già sentita dai nonni e bisnonni. Evidentemente (e su questo punto le testimonianze orali tramandate sono concordi) nel borgo esisteva una stazione di posta per il cambio dei cavalli alle diligenze che provenivano da Trieste e Gorizia ed erano dirette a Vienna.
Questa sosta favoriva il contrabbando di merci facilmente reperibili nel porto giuliano, ma attirava anche donne compiacenti in cerca di zerbinotti denarosi. Forse il toponimo nacque allora per definire, come dice Carletto, il luogo poco raccomandabile e malfamato simile a certi quartieri della capitale francese. Dopo l’avvento della ferrovia, questa stazione rimase inattiva e si trasformò in rimessa per carrozze, probabilmente, di privati e facoltosi cittadini che avevano in affitto anche qualche stanza per le loro scappatelle.
«Entravano da quel portone» e mostra il rustico abitato nel 1984 dalla famiglia Sdrigotti; così un’anziana signora che l’aveva spesso sentito da sua nonna. E mi fa certe allusioni che non lasciano sottintesi. Tornando all’origine del toponimo, esso potrebbe derivare anche dalla presenza di qualche contingente di soldati francesi stanziatosi nei dintorni durante il periodo napoleonico o che frequentavano questo posto in cerca di evasioni amorose».
Così conclude il maestro Orzan.

Bibliografia
-        Mario Blasoni, In periferia nei locali di fine ‘800, «Messaggero Veneto», 2 gennaio 2008, pag. V.
-          Diego Cinello, Tes cjasis dai vons, Udine, Rizzardi, 2006.
-          Indicatore della provincia di Udine 1930-31 – VIII-IX Era fascista.
-          Paolo Medeossi, Osterie in Baldasseria, Udine, Numero Unico «Baldasseria 87» 1987.
-          Aldo Moretti, Attività economica dal primo anteguerra nel nostro rione, Numero Unico per la sagra di Baldasseria, 1979.
-          Alfredo Orzan, La Piccola Parigi, Udine, Numero Unico per la sagra di Baldasseria, 1984.
-          Mario Quargnolo, Caffè e osterie di Udine, supplemento al n. 308 del «Messaggero Veneto» del 30 dicembre 1983.
-          Elio Varutti, Anelli-Monti e Anderloni, Udine, Ribis edizioni, 1994.
-          Elio Varutti, Lis sedoneris a cjaminavin, «Camminare per conoscersi», 2009.

mercoledì 29 aprile 2015

Migliaia di tonnellate, la logistica nella Grande Guerra, allo Stringher di Udine

C'è una mostra sulla logistica nella Grande Guerra a Udine. “Migliaia di tonnellate … aspetti della logistica nella Prima Guerra Mondiale” è il titolo della seconda esposizione collegata al Centenario della Grande Guerra che viene allestita all’ISIS Stringher di Udine dal 20 aprile al 20 maggio 2015. Il percorso quinquennale predisposto dai docenti del Laboratorio di Storia ha ottenuto la concessione dell’uso del logo per le celebrazioni da parte della Struttura di Missione per la commemorazione del centenario della prima guerra mondiale per il progetto quinquennale e prosegue il lavoro iniziato di analisi di un aspetto non sempre presente nelle tante manifestazioni fino ad ora realizzate.

 Teleferica a Nova Planina, Museo di Tolmino (Slovenia)

Grazie alla collaborazione internazionale, nazionale e locale di archivi e musei, come l'Archivio Fotografico del Museo della Guerra Bianca in Adamello di Temù, provincia di Brescia, l'Archivio Storico Fiat di Torino, il Civico Archivio Fotografico del Comune di Milano, Centro Doc. SAI – Archivio Fotografico del Comune di Genova, Dolomitenfreunde, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano Museo Centrale del Risorgimento di Roma, Kobariŝkj Muzej (Caporetto, Slovenia), Museo storico ”La Zona Carnia nella Grande Guerra” Timau, Comune di Paluzza, provincia di Udine, Museo Civico del Risorgimento Bologna, Museo Ferroviario di Trieste Campo Marzio, Museum 1915-18 vom Ortler bis zur Adria Kötschach-Mauthen (Austria) e del Tolminskj Muzej (Slovenia) è stato realizzato un percorso didattico che segue le fasi dell’arrivo delle materie prime, della loro lavorazione, del loro immagazzinamento e poi distribuzione lungo tutta la linea del fronte. I pannelli espositivi predisposti sono arricchiti da una ricostruzione di due fanti della Guardia di Finanza in prima linea, frutto della passione e competenza del Maresciallo in congedo Maurizio Franzolini.

Il progetto inoltre prevede la realizzazione di un percorso inserito nel sito dello Stringher in cui si potrà seguire attraverso una mappa interattiva quanto esposto nei pannelli. Quest’ultimo lavoro didattico è stato realizzato dalla classe 1^ C indirizzo Commerciale. “Collegare la storia con le attività peculiari degli indirizzi presenti nell’Istituto fa parte del DNA dei docenti del Laboratorio di Storia, come è già accaduto per la rassegna di ampio successo “Eppur si mangia” dove studenti della Ristorazione hanno approfondito il legame alimentazione e Prima Guerra, così in occasione della nuova esposizione ‘Migliaia di tonnellate…’ è per gli allievi del commerciale che uniscono competenze informatiche a un prodotto di tipo storico.


Alcune facciate del depliant della Mostra 

Non dimentichiamo che tutti i testi dell’esposizione saranno tradotti dagli studenti del Tecnico Turistico in Inglese, Francese e Tedesco” sottolinea la Dirigente Scolastica Anna Maria Zilli, ricordando che, a sottolineare il forte legame con il territorio dello Stringher, l’esposizione ha ottenuto il patrocinio di Assoarma che ha sostenuto l’iniziativa, della Guardia di Finanza Comando Provinciale di Udine, Club UNESCO Udine, Dolomitenfreunde, Gruppo per l’indagine storica, Amici della Val Degano, Forni Avoltri, Provincia di Udine.
“Migliaia di tonnellate…” sarà aperta dal 20 aprile al 20 maggio 2015, dalle 9 alle 16 da lunedì a venerdì, dalle 9 alle 12 il sabato nella sede centrale dello Stringher di via Monsignor Nogara a Udine.
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Un'altra mostra della Guardia di Finanza sulla Grande Guerra a Venezia, Palazzo Ducale, col titolo "Mostra della guardia di finanza a cent'anni dalla Grande Guerra" .

martedì 28 aprile 2015

I quadri di Rocco Burtone

Si intitola “Musica nascosta” la mostra d’arte di Rocco Burtone alla Loggia di Udine. Conosciuto dal pubblico udinese in veste di cantautore, l’artista ha voluto mettere da parte la chitarra per qualche minuto, inforcando pennelli e colori. Allora egli mette in piazza un'altra parte del suo originale modo di comunicare, quello dell’espressione artistica in pittura. Poi, ce ne sono altri ancora...
Anche in questo campo Rocco non poteva esimersi dalla sua potente ironia, che rasenta il sarcasmo in qualche opera in esposizione. Persino le didascalie che accompagnano i quadri in mostra hanno del dissacrante. Sono mini poesie, anzi “popsie”, com’è il neologismo creato dall’artista, che fanno sorridere il visitatore, se non resta allibito. Un "pospia" è una opera che nasce dal desiderio di proporre liriche poetiche legate al mondo della musica.
Le opere in mostra alla Loggia sono a tecnica mista, ma molte sono degli acrilici su supporti vari, non mancano i disegni molto curati, meticolosi nella drammaticità dei personaggi stralunati che eruttano svastiche e croci. Ogni tanto, tuttavia, compaiono pure dei cuori rossi, ossia un barlume di speranza.

La Galleria d’Arte La Loggia di Udine, sita in Piazza Libertà, 11 ospita la mostra personale di Rocco Burtone.  L’inaugurazione è avvenuta sabato 18 aprile 2015 alle 18.30. Durante l’evento è stata offerta una degustazione di vini della Vigna Meridiana di Ara Grande di Tricesimo. 
La rassegna sarà visitabile fino al 13 maggio con il seguente orario: feriali 17.30 – 19.00 / festivi 11.00 – 12.30 / Lunedì chiuso.
Ecco un quadro in acrilico che rappresenta Ludovica col suo inseparabile violino; è la figlia di Rocco Burtone. Colori alla fauves, tanto per non smentirsi. 
Si ricorda, infine, che Rocco Burtone è famoso per aver ideato il "Festival mondiale della canone funebre" che si tiene a Rivignano il 2 novembre, come riporta il settimanale "IL FRIULI" del giorno 1 novembre 2014.

Cenno bibliografico:
Fra alcuni libri di Rocco Burtone ho scelto questo cenno: Rocco Burtone, Musicisti suicidi e anche, Udine, Edizioni del Sale, pp. 216, ©2007, euro 15. Tale volume è stato da me recensito nel 2009 in Facebook nel seguente link.

lunedì 27 aprile 2015

La foiba di Mario e Giusto da Parenzo, 1943

Il silenzio dei profughi può durare una vita. È accaduto a Mariagioia Chersi, nata a Parenzo nel 1942. Un po’ per paura, un po’ per vergogna, non ha mai parlato di suo padre e dello zio, uccisi e gettati nella foiba di Vines, vicino ad Albona in Istria

Trieste 1949 - Mariagioia Chersi col cappottino nuovo, assieme alla mamma Giulia Gripari Chersi e allo zio Giuseppe Gripari.  (Collezione famiglia Chersi, Udine).

«Mio papà era Giusto Chersi, nato a Parenzo nel 1902 – racconta la signora Mariagioia, esule a Udine – la nostra era una famiglia di panettieri, poco dopo il giorno 8 settembre 1943 fu prelevato dai partigiani titini, assieme a suo fratello Mario, e non li abbiamo più visti».
Secondo certi storici, i partigiani attuarono così delle vendette per pulizia etnica e per le violenze subite sotto il fascismo. Giusto e Mario furono imprigionati dai partigiani in divisa?
«A parte che in famiglia si parlava poco di quei fatti dolorosi – continua la testimonianza – ma non si è mai detto che fossero in divisa, con la stella rossa sulla bustina, anzi erano due di Parenzo, parlavano italiano, uno di loro era il Bernich».
Il 16 ottobre 1943, dopo l’occupazione nazista, Arnaldo Harzarich, maresciallo dei pompieri di Pola, assieme alle autorità riesumò alcune salme dalla foiba dei colombi, nei pressi di Vines. Il secondo cadavere portato alla luce fu riconosciuto dal direttore delle miniere carbonifere dell’Arsa per Mario Chersi, fu Andrea, come sta scritto nel verbale per i servizi segreti angloamericani del luglio 1945, corredato da varie fotografie del fotografo Sivilotti, di Pola.
Diciamo subito che si è trovata un’omonimia. Il Mario Chersi cui si fa riferimento in questa intervista era figlio di Timoteo Francesco Chersi, di una famiglia di panettieri. Non va confuso, quindi, col minatore Mario Chersi di Andrea, appena citato dalla Relazione Harzarich.

Parenzo, giovedì 28 ottobre 1943: ventidue salme nella casa di Dio, avvolte nel tricolore, allineate in file di quattro con ai lati i parenti, attendono l'ufficio divino. Il Vescovo di Parenzo e Pola monsignor Raffaele Radossi, si avvicina alle bare con le mani composte in preghiera. Volge il suo sguardo addolorato ai parenti ed esclama: «Sono stato ignobilmente ingannato!». Ciò perché i partigiani titini gli avevano promesso di non fare violenze. (Collezione Ines Tami) citazione dal seguente sito web, che si ringrazia:       http://www.isfida.it/parenzo.htm


Nell'elenco delle 66 vittime della foiba di Vines, in Wikipedia, sono citati in questo modo (visualizzazione del 16 maggio 2015): 

"21. Chersi Giusto, di Francesco, anni 41, nato a Parenzo, impiegato; infoibato nel settembre-ottobre 1943.
22. Chersi Mario, fu Andrea, capo operaio nelle miniere dell'ARSA, da Albona. Potrebbe trattarsi di Ghersi Mario, di Andrea, nato nel 1889 a Sanvincenti; dipendente della stessa società; infoibato il 15-9-1943.
23. Chersi Mario, di Francesco, anni 47, nato a Parenzo, panettiere; infoibato nel settembre-ottobre 1943".

I fratelli Giusto e Mario Chersi, il primo di 41 anni, impiegato e il secondo di 52 anni, panettiere, sono menzionati a pag. 532 da padre Flaminio Rocchi nel suo “L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati”, Roma. Difesa Adriatica, 1990. “Tra il 20 e il 22 settembre 1943 – scrive Rocchi – i partigiani slavi entrano a Parenzo. 94 persone vengono arrestate a Parenzo, a Villanova e a Torre. Senza processo vengono legate con filo di ferro e gettate nelle foibe di Vines, Zupogliano, Cimino e Surani”.

Ritorniamo all'intervista. Signora Maria Gioia Chersi, i corpi degli infoibati della sua famiglia sono stati riconosciuti dai suoi parenti?
«Sì, oltre a mia mamma Giulia – aggiunge la signora Chersi – sono stati riconosciuti da suo fratello Giuseppe Gripari, che  pur essendo di sentimenti comunisti, protestò per quello che avevano fatto i titini e così fu imprigionato. Poi fu liberato e, verso il 1947-1948, scappò travestito da donna su una piccola barca, remando di continuo da Parenzo fino a Trieste».

Al tempo della guerra fredda. Parata militare degli Alleati angloamericani su carri armati Scherman a Trieste, 10 aprile 1948. Fotografia: Luce, Istituto Nazionale, Istituto Luce – Gestione Archivi Alinari, Firenze

Signora Mariagioia Chersi, lei quando è venuta via dall’Istria?  
«Abbiamo ricevuto il visto di uscita nel febbraio 1949 – risponde Mariagioia – e siamo stati accolti a Trieste da parenti e, siccome non c’erano case a Trieste, visto il grande afflusso di profughi, siamo venuti qui a Udine, in via Castellana. A Parenzo siamo saliti su un peschereccio e abbiamo viaggiato all’aperto. Eravamo in tanti. Mi ricordo che la gente al molo, prima di salire sulla nave piangeva e, inginocchiatasi, baciava la propria terra. Mi ricordo anche che le guardie confinarie iugoslave controllavano e perquisivano ogni esule in partenza. I maschi da una parte e le femmine dall’altra. Spogliati e privati di soldi, monili d’oro e, perfino, del mio cappotto, dato che se l’è tenuto una donna in divisa, forse per una sua figlia, chissà?»
Rubare il cappotto a una bambina non è stato un grande onore per la guardia iugoslava, allora lei signora aveva freddo?  
«Sì, però la mamma e lo zio Bepi me gà comperà la bereta, el capoto e una pupa (bambola), gavemo anche la foto de quel momento. Lo zio Francesco jera al Campo Profughi de via Pradamano, dopo se andà a Milano, ecco perché gò parenti anche lì. Altri parenti nostri jera al Campo del Silos a Trieste, dove i lavatoi jera senza vetri alle finestre».  
È mai ritornata a Parenzo signora Chersi? Da quando ha iniziato a parlare di questi fatti che sono un pezzo della storia d’Italia?
«Con mio marito, che è di Pola, siamo ritornati a Parenzo dal 1962, abbiamo dei cari conoscenti lì vicino al porto, sono i Petretti, si andava in cimitero per vedere delle nostre tombe, oppure per rivedere la nostra terra, ma non ho mai trovato un posto dove stare a mio agio. Ho cominciato a parlare del papà infoibato dopo il 2010, quando a Roma al Quirinale ho ricevuto dal presidente Giorgio Napolitano un medaglia e un attestato in ricordo delle vittime delle foibe, sono riuscita a portare pure mio nipote Filippo, che era alle scuole medie, così Napolitano e sua moglie gli hanno parlato e tutti in famiglia ricordiamo quel momento istituzionale come una bella esperienza e Filippo ne ha parlato con orgoglio anche a scuola».  
Parenzo 13 dicembre 1943: i funerali delle salme recuperate dalla foiba di Villa Surani l'11 e 12 dicembre (Collezione Ines Tami) dal seguente sito web, che si ringrazia:       http://www.isfida.it/parenzo.htm

Signora Chersi, conosce altri istriani esuli qui a Udine?
«Sì, siamo in tanti, per esempio mio fratello abita al Villaggio Giuliano di via Casarsa, lui è Mauro Crisma, mia mamma si è risposata, ecco perché lui ha un altro cognome, dopo le darò i nomi di altri istriani, perché adesso noi vogliamo parlare».
Parliamo ancora. Le sembra di essere stata accolta bene dagli italiani, signora Chersi?
«Posso dire che non siamo stati bene accolti in Italia – continua la signora Chersi – per esempio, a scuola ho imparato a dire, quando mi chiedevano del papà, che era morto in guerra, perché non capivano che cosa fosse una foiba, nemmeno gli adulti».
Che cosa ne pensa di “Magazzino 18”, il musical di Simone Cristicchi sull’esodo giuliano dalmata? 
«A mio parere – replica la signora Chersi – è una cosa valida, io l’ho visto e mi ha veramente colpito. Fa capire perché siamo dovuti venir via. C’erano le pressioni continue da parte dei titini, la paura della foiba, il terrore della guerra, il disagio del dopoguerra. Un mio zio, Guido Gripari, è stato preso prigioniero dai nazisti e recluso nel Campo di concentramento di Birkenau».
Che cosa dicevano i vecchi di questa terribile situazione e dei fatti anteguerra?

«Mio nonno, Bendetto Gripari – ricorda la testimone, con un sorriso – diceva: ‘Maledetti italiani che i gà portà la lira de carta, qua ghe vol i fiorini austriaci’. Nel dopoguerra i rimasti, cioè gli italiani che riuscivano a stare in Istria per loro scelta, o che non potevano partire per il boicottaggio sui permessi di opzione da parte dei titini, ci chiedevano vari generi da loro introvabili, come caffè, lamette, sapone da barba, calze di nylon… I Petretti, ad esempio, non li hanno fatti partire, altrimenti a Parenzo non sarebbe restato neanche un fornaio. Oggi i loro discendenti (che sono bravissimi!) sono ancora lì, e gestiscono un bel ristorante, di nome Istra, naturalmente, con una bella capra istriana nel logo; lori i gà una gostionica (locanda, in croato) che funziona dal 1920, quando jera l’Italia».
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Il 20 settembre 2016, nel gruppo di Facebook “Esodo istriano, per non dimenticare”, in riferimento al presente articolo, ho ricevuto la seguente informazione di aggiornamento da Giampiero Sferco, di Roma. Riporto il messaggio così come è stato inviato, pur nella crudezza di certe parole:

«Conosco la loro tragica storia... il partigiano che li prelevò si chiamava Bernobich (non Bernich); fu fucilato dai tedeschi sotto il muro della villa dei Polesini (per i parensani: Rivetta) e rimase lì molti giorni mangiato dalle mosche e sputacchiato dai suoi concittadini...».

Cartolina di Trieste, 1940-1950, scatto fotografico da Via Capitolina sull'Anfiteatro romano e città vecchia

Parte di questa intervista è stata pubblicata il 20 aprile 2015 su friulionline.com col titolo: "La foiba di Mario e Giusto". 
Nel periodo luglio-agosto 2015, dopo aver letto l'articolo su friulionline.com il dottor Bojan Horvat, curatore del Museo cittadino di Parenzo, ha espresso il desiderio di contattare la signora Mariagioia Chersi, perché nello stesso Museo stanno "cercando di recuperare la storia parentina che si è persa con l'esodo, tramite interviste con i parentini esuli". I contatti sono in corso. Fa piacere che ci sia tale spirito di comunicazione e di pacificazione.
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Ringraziamenti: sono grato per questa intervista a Maria Gioia Chersi e ai professori Alfio Laudicina (di Pola) e Francesca Laudicina, di Udine.
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Dal sito web <<http://video.repubblica.it>> si propone un film intitolato: Liberazione Luce - Le truppe americane entrano a Trieste - maggio 1945 (muto)


Pietra miliare confinaria del 1947 tra Italia e Jugoslavia. Dal 1991 la pietra è della Slovenia indipendente, entrata dal 2004 nella Unione Europea, il cui avo è il Mercato Comune Europeo, nato col Trattato di Roma nel 1957, con sei paesi fondatori, tra i quali l'Italia.

Cartolina da Parenzo, viaggiata nel 1972, stampata a Zagabria al tempo della Federativa Repubblica di Jugoslavia. 
Collezione Daniela Maiolo, Udine.